Valdaveto.net > Articoli e ricerche di carattere storico > Storia locale - Collana bibliografica ideata da Giovanni Ferrero > Confini, itinerari, muli e carovane fra Aveto e Trebbia - Da una relazione sei-settecentesca riguardante la Chiesa di Casanova di Rovegno
Da un antico documento sui confini della parrocchia di Casanova di Rovegno, rintracciato da Giovanni Ferrero presso l'Archivio Vescovile di Tortona, traggo lo spunto per analizzare più approfonditamente la "via di Cifalco" (ovvero la dorsale posta fra il fiume Aveto ed il fiume Trebbia) e le strade che la intersecavano, con particolare riguardo alle carovane di muli ed ai banditi che fra il XVI ed il XVII secolo percorsero il nostro Appennino.
+ che la distingue da Rezoaglio
Da Scorteghero + si va per la costa al Poggio delli Aveti, lontano un
quarto di miglia in circa da Scorteghero (1) , e più alto di esso, dalla Chiesa (2)
distante 3 miglia, resta rispetto ad esso a Sirocco, dal Poggio delli
Aveti (3) , si và a M Rocca Bruna (4) distante un tiro di pistola dal
M[onte] delli Aveti, da Rocca Bruna a Cifalco (5) , che la divide ancora da Rezo-
aglio. Cifalco dista da Rocca Bruna un tiro di schioppo, da
Cifalco si va ad Erba bella (6) , Monte alto come Monte lupo,
(7) più
di Cifarco, e di Rocca Bruna, confina ancora con Rezoaglio (8) , vicina
a Cifarco un buon tiro di schioppo, e resta a Sud est Sud riguardo alla
Chiesa lontano da essa due miglia longhe.
Da Erba bella si discende alla Cima della Garba (9) ,
che la divide da Gabanna (10) , distante da
Erba bella per aria un gran tiro di schioppo, resta verso mezzo giorno
proprio, ma per andarvi vi saranno 3 miglia, e più, di la alla punta
ottusa di Fregarolo
(11) distante un tiro di schioppo,
divide da Cabanna
Da Fregarolo al Monte di Montalto (12) distante dal Fregarolo due tiri di schioppo
sempre verso mezzo giorno. Da questo punto si va al Monte della
Nava (13) distante un mezzo miglio da Montalto resta rispetto alla
Chiesa a Sud est Sud; e distante 3 miglia sopra di essa vi è la
punta d'Ala di Gallo (14) ; ma ivi non arriva la parrochia, perché il
Fossato comincia più basso, e quello la divide dalla Parochia di
Canale (15) . Questo fossato si chiama la Crosazza (16), il confluente di questo
Torente nella Cimiliasca (17) resta a Libeccio da questa Chiesa, questo confluente
resta all'insù della strada per venire da Canale a Fontana ingorda
cinquanta passi Geometrici (18) dalla detta strada al sito dove il Torrente
delle Masere (19) sbocca nella Cimiliasca vi saranno 200 passi Geometrici,
da questo confluente al sito dove la Cimiliasca sbocca nella Trebbia
vi saranno tre quarti di Miglia, da questo confluente al Ponte di
Rovegno (20) vi saranno 2 miglia di linea dritta, e tre seguendo il corso
tortuoso della Trebbia.
Dalla sommità della
Nava discende il
fiume che va in Aveto
e divide la Priosa (21)
dalle Cabanne.
Documento rintracciato da Giovanni Ferrero
all'Archivio Storico Diocesano di Tortona (AL), collocazione incerta
Trascritto ed analizzato da Sandro Sbarbaro
Indice delle note
- nota 1: Scorteghero
- nota 2: la Parrocchia di San Pietro Apostolo
- nota 3: il Poggio degli Aveti
- nota 4: Rocca Bruna
- nota 5: Cifalco
- nota 6: Erba bella
- nota 7: Monte lupo
- nota 8: Rezoaglio
- nota 9: Cima della Garba
- nota 10: Gabanna
- nota 11: Fregarolo
- nota 12: Montalto
- nota 13: Nava
- nota 14: Ala di Gallo
- nota 15: Canale
- nota 16: Crosazza
- nota 17: Cimigliasca
- nota 18: passi Geometrici
- nota 19: Masere
- nota 20: Ponte di Rovegno
- nota 21: Priosa
Scorteghero è l'antico nome del Monte Oramara (metri 1522), Monte Scorticato.
Lo troviamo in una Carta pubblicata dal Regio Corpo di Stato Maggiore dell'anno 1853 - FOGLIO TORRIGLIA - ove si legge M[on]te Oramala o Scortighera.
Tale monte era già nominato nel Praeceptum di Liutprando (Pavia 714), ove si recita: "et inde serra quae nominatur Petra Scortecata / et exinde per fines Ansaldi et Rotaldi exiente in Monte Ebore / et conversante usque in Fontana Ventola / ponente caput ad decora paluda".
Michele Tosi, "Orandum, laborandum, legendum" nel segno di Colombano: da San Pietro in Ciel d'Oro alla pieve di Alpepiana, in "Archivum Bobiense - Rivista degli Archivi storici Bobiensi" N. XVI-XVII (1994 - 1995),Piacenza, pag. 75, ritiene che il toponimo Petra Scortecata, possa riferirsi al villaggio attualmente sito a Sud - Ovest di Costafinale, detto Scorticata.
Noi pensiamo debba riferirsi al monte Scortighera, o Scorteghero, poi Oramala o Oramara, il Petra anteposto a Scortecata, parrebbe dare alla nostra ipotesi un minimo vantaggio, tanto più se si legge il serra come catena di montagne, ossia "e quindi la catena di montagne che si nomina Pietra Scorticata"
Estrapolando dal passo antecedente al sunnominato: " [...] usque in piscinam quae dicitur Nigra, et exinde per fines Sancti Pauli / ponente caput in antenominatum Avantum", sembra almeno strano che dal Lago Nero, presso il Monte Bue, alle spalle di Santo Stefano d'Aveto, si discenda verso Pievetta, posta al limitare dei confini di San Paolo del Mezzano,indi in Aveto e, all'improvviso, si salti alla Scorticata presso Costafinale con uno scarto di parecchie miglia.
Va da sé che risalendo in sponda opposta all'Aveto, passando per Alpepiana (nominata nel Precetto) e Vico Soprano, nei pressi sono i confini col piacentino, si salga verso il Monte Petra Scortecata o Oramala, e per catena di monte si descrivano i confini, fra Aveto e Trebbia, detti Ansaldi et Rotaldi, forse due arimanni lì stanziatisi, fino al Monte Ebore(forse l'Erba Bella del documento Tortonese) ed infine si giunga a Fontana Ventola, ossia presso Ventarola, dando menzione del lago-palude che invadeva la piana di Cabanne.
Pare interessante rilevare che i confini descritti nel documento, rintracciato all'Archivio Diocesano di Tortona da Giovanni Ferrero, paiono ricalcare quelli del Praeceptum di Liutprando. I confini i popoli li tracciano ad acqua pendente o in prossimità dei fiumi, essendo più difendibili, senza ricorrere a termini divisorii.
Affermiamo ciò con le dovute cautele, a causa delle enormi difficoltà di interpretazione di un documento medievale, spesso falsificato ad arte per ragioni di interesse, quindi poco leggibile. Inoltre gli svarioni, dovuti alla non conoscenza dei luoghi da parte di chi scrive, danno una versione poco conforme alla verità.
Chi li stende, a volte, lo fa sotto dettatura di persone che, pur conoscendo i luoghi per avervi transitato, spesso errano a causa della morfologia del terreno, che varia secondo ove si approccia il monte tale o tal'altro.
Per aver praticato l'esperienza sul campo,assicuriamo che non è facile stabilire una corretta interpretazione della cartografia dei luoghi, se non con l'ausilio di determinati strumenti tecnici o conoscenze appropriate del territorio.
Basta osservare le carte topografiche stilate fino alla metà del '700, ove gli errori abbondano.
Che il monte Oramara sia lo Scorteghero del documento dell'anonimo, così lo chiameremo d'ora innanzi, è altresì confermato da questo passo di GIUSEPPE FONTANA, Rezzoaglio e Val d'Aveto (Cenni storici ed episodi), Rapallo 1940,pagg. 158-159:
"[...]Dall'archivio Doria Panfili di Roma risulta la seguente deposizione del caporale Antonio Connio di Alpepiana, data per controversia del monte della Tora - 26 luglio 1699. N. 38, S[anto] Stefano d'Aveto 169.
Nei giorni che si faceva le fiere in questo borgo di S[anto] Stefano d'Aveto, sogliono i signori Commissari di questa giurisdizione mandare degli soldati nell'imboccatura della selva d'Orezzoli, cioè sulla strada, che resta tra la detta selva e il monte chiamato Oramala o Scortigara a fare ivi le guardie per impedire che da ladri o malviventi non si insultino gli passeggeri, che vengono alle sudette fiere, ed in dette occasioni io vi sono molte volte stato con altri a fare dette guardie, anzi due volte che venne in visita nei tempi passati Mons[ignor] Settala, allora Vescovo di Tortona, noialtri della parrocchia di Alpepiana in numero di 15 o 16 persone andammo con le nostre armi ad incontrarlo e riceverlo al luogo detto Croce delle Fistellore, che è territorio di questa giurisdizione e lo servimmo sino alla chiesa di Alpepiana e non passammo più oltre, perché in detto luogo termina la giurisdizione di S[anto] Stefano d'Aveto e dall'altra parte di là di detta croce, resta giurisdizione di Orezzoli".
Il monte Oramara è la più alta vetta sul crinale fra Aveto e Trebbia, ove son posti i confini fra i comuni di Rezzoaglio, Rovegno ed Ottone.
Al monte Oramara si poteva giungere tramite la direttrice Rezzoaglio (metri 715), Ertola (metri 783), Lovari (metri 1036), Passo di Prato Foppiano(metri 1340), dal quale si poteva scendere in direzione Foppiano (metri 957), Pietranera (metri 898), Rovegno (metri 663 ), oppure proseguendo in quota Passo dello Sbirro (metri 1375), Passo del Monte (metri 1425), monte Oramara (metri 1522).
Cfr.: Fulvio Tuvo, Itinerari dell'Appennino Ligure-Zona 5- Valli:Aveto, Fontanabuona, Sturla, Trebbia, Chiavari 1981, pagg. 178-181.
Altresì tramite il percorso Alpepiana(metri 842), Vicomezzano(metri 934), Vicosoprano (metri 1086), Bocca di Selva (metri 1425), Passo del Monte (metri 1425), Monte Oramara (metri 1522).
Cfr.: Fulvio TUVO, Itinerari dell'Appennino Ligure, op. cit., pagg. 319-323.
Su quest'ultima direttrice si innestava il percorso Rezzoaglio (metri 715), Casaleggio (metri 981), Alpepiana (metri 842), e quello proveniente da Santo Stefano d'Aveto (metri 1017) sul tratto Torrini (metri 777), Ponte di Alpepiana (metri 661), Alpepiana(metri 842).
L'espressione generica 'Chiesa' dovrebbe essere riferita alla Parrocchia di San Pietro Apostolo di Casanova di Rovegno, ciò sulla scorta di alcune considerazioni.
Il documento su esposto, secondo Giovanni Ferrero, che lo ha rintracciato, dovrebbe far parte di quelli riguardanti le Visite Pastorali alle parrocchie di Val Trebbia, giacenti all'Archivio Storico Diocesano di Tortona.
Visto che si stanno delineando confini fra parrocchie vicine,lo si intuisce dall'argomento e dal fatto che la Chiesa in questione è sempre il centro di riferimento rispetto al quale si descrivono i confini, passiamo ad analizzare il periodo in cui tali chiese furono elevate in Parrocchia.
Rezzoaglio fu elevata a Parrocchia presumibilmente nel 1523, Cabanne nel 1584, Canale nel 1641, Priosa nel 1659. Queste parrocchie fanno corollario alla Chiesa di cui sopra che si evince sia parrocchia dal passo; "...e distante 3 miglia sopra di essa vi è la punta d'Ala di Gallo; ma ivi non arriva la parrochia, perché il Fossato comincia più basso, e quello la divide dalla Parochia di Canale."
Per ciò che riguarda Casanova,nel libro: "Parrocchie già esistenti od erette nel XVI secolo, distribuite in Vicarie, come dal Sinodo Gambara 1595, coll'indicazione della Sovranità Civile e del Feudo da cui dipendevano",p.94, si evince: "Parrocchia già esistente od eretta"- Casanova, "Anno dell'Erezione" - non consta, "Parrocchia da cui fu smembrata"- >>,"Sovrano Civile"- Impero, "Feudatario"- Principe Doria.
San Pietro di Casanova pare risultare parrocchia almeno dalla Sinodo di Monsignor Arese del 1623 "Eccl. Paroch. S. Petri Apost. Loci Casanovae.". Cfr. Giovanni Ferrero-Bruno Franceschi, Ecclesia S. Justinae Loci Canalis, Genova 1998, pag. 9.
Riferendoci all'anno 1659, data d'erezione in Parrocchia di Priosa d'Aveto, ultima fra le nominate, potremmo datare approssimativamente il documento su analizzato come testimonianza fra la seconda metà del '600 e la prima del '700, lo farebbe pensare anche l'espressione "200 passi Geometrici". Espressione simile nella forma di "Tipo geometrico" si trova pure fra le carte dell'Ingegner Cartografo Matteo Vinzoni, in Archivio di Stato a Genova, ascrivibili al 1700.L'espressione geometrico, riferito ad una misurazione, pare indirizzare la datazione verso il '700, secolo in cui si svilupparono diverse scuole di cartografia. Il relatore del documento sembrerebbe un Ingegnere o uno pratico dell'arte, espressioni come "Sirocco, Sud est Sud e Libeccio", indicano una conoscenza della Rosa dei Venti, strumento indispensabile nell'arte del cartografo. Che il nostro non sia un neofita lo fa pensare l'espressione: " da questo confluente al Ponte di Rovegno vi saranno 2 miglia di linea dritta, e tre seguendo il corso tortuoso della Trebbia". Solo chi è pratico di misurazioni può fare considerazioni tecniche di tale portata.
Ricordiamo che l'espressione "un buon tiro di schioppo", usata dallo stesso, può dar forza all'ipotesi di una collocazione del documento più verso la fine del 1600 inizi '700. Lo schioppo compare in relazioni delle Filze Criminali del castello di Torriglia del 1671/1674/1675. Cfr.: MAURO CASALE in La Magnifica Comunità di Torriglia & C., Avegno (Ge) 1985, pagg. 141-144. Ancor nello stesso periodo, come armi da offesa, si usavano gli archibugi, impiegati già fra la fine del '400 e primi del '500. Famoso è l'impiego di tali armi, da parte degli archibugieri spagnoli, nella battaglia di Pavia del 1525, fra gli eserciti dell'imperatore Carlo V e Francesco I di Francia, battaglia immortalata negli arazzi di Bruxelles conservati al Museo di Capodimonte a Napoli. Cfr.: MONDADORI, Armi da Fuoco- Milano 1991,pagg. 13-15.
All'archibugio, detto pure Schioppo, si giunse probabilmente grazie all'evoluzione dello schioppo , "Arma a scoppio su cavalletto [ricordata già nel sec. 14°]" , ritenuto più un fucile da caccia. Cfr.: Vocabolario Zingarelli, Milano1965,p.1445.
Invero, durante il '500 e il '600 è in voga l'espressione un "tiro d'archibugio", l'espressione un "tiro di schioppo" a noi pare più tarda.
Tanto per rendere l'idea della distanza di tre miglia della Chiesa [di Casanova] dal Poggio delli Aveti, occorre tener presente che nel 1607 era valutata in mezzo miglio la distanza fra Casanova e Fontanigorda e in 6 miglia quella fra Casanova e Ottone.
Che il periodo è, pressappoco, quello indicato lo confermerebbe, come vedremo, la relazione di Matteo Vinzoni al padre del 1715.
Azzardando un'ipotesi, ricordiamo che nell'agosto-settembre 1744 si ebbe in Aveto la visita pastorale del vescovo Ludovico Anduxar, si potrebbe, pur fra le dovute cautele, ascrivere a quel periodo l'estensione del documento suddetto. Cfr.:MICHELE TOSI, in "Orandum, laborandum, legendum" nel segno di Colombano: da San Pietro in Ciel d'Oro alla pieve di Alpepiana,op. cit., pag. 90.
Il toponimo Casanova probabilmente deriva dalla Casa nuova, ove si insediarono i componenti della famiglia Malaspina, del ramo di Mulazzo, poi detti di Casanova.
A Casanova i Malaspina avevano un castello, ora scomparso. Questo ramo ebbe notevoli legami con la Val d'Aveto ove possedeva dei terreni sia nel comprensorio di Santo Stefano d'Aveto, che in Rezzoaglio e a Cabanne. Lo si evince da un atto giacente all'Archivio di Stato di Parma, Famiglie Malaspina, datato sette ottobre 1562.
7.a 8bris -Emptio facta. per tutores testamentarios D[omi]ni Marci Ant[on]i Malaspina
ab illis de Cella non nullor[um] bonor[um] existen[ti] in terr[itori]o S[anc]ti Stefani,
Ossia: Acquisto fatto per i tutori testamentari del Signor Antonio Malaspina dai de Cella, di alcuni beni esistenti nel territorio di Santo Stefano (d'Aveto).
Lo stesso giorno è stilato un altro atto:
1562 . 7. 8b[ris] -Locatio bonorum emptorum per tutores D[omi]ni Antoni Malaspina ab illis
della Cella eisdemmen della Cella venditoris.
Ossia: Locazione dei beni acquistati dai tutori [testamentari] del Signor Antonio Malaspina dai della Cella agli stessi della Cella venditori.
Nell'atto di locazione i figli e gli eredi del fu signor Antonio( morto nel 1561, figlio del signor Aloisio,o Gian Luigi, o Lodisio, fu Antonio dei marchesi Malaspina di Casanova e Bernardina Fieschi fu Paolo Geronimo), locano terre e possessioni in Val d'Aveto, le stesse che erano state prima loro vendute, a detti "consorti", ossia i Magnifici signori Ludovico, Giacomo e Sinibaldo fratelli Malaspina figli del Magnifico signor Rolando, Polidoro della Cella figlio di Paolo, Marco di Rezzoaglio figlio di Cristoforo, Lazarino della Cella figlio di Giovanni detto Gallano e Bonifacio della Cella figlio di Visconte.
Sull'intera proprietà data in locazione, cioè i 9/9:
a Marco di Rezzoaglio spetta 1 e 1/3,
a Lazarino della Cella spetta 1 e1/3,
a Bonifacio della Cella di Visconte spetta 1 e1/3,
A Polidoro della Cella spettano 2/ 9.
A Ludovico Malaspina spettano 3/ 9, anche a nome dei fratelli.
I Malaspina suddetti erano cugini del fu Antonio Malaspina succitato essendo Rolando lor padre figlio di Pietro Malaspina fratello del fu Gian Luigi, o Lodisio, padre del fu Antonio.
Estrapolando dall'atto suddetto, riguardo ai sunnominati locatari o affittuari, si dice pressappoco:
" [...] e uno qualsiasi di loro fra i presenti stipulanti e riceventi avrà, terrà, godrà ed usufruttuerà fino ai prossimi futuri dieci anni nominati, una casa con muri solai e tetto con volta, portico e altri vani in essa esistenti e anche un pezzo di terra con aia o meglio corte, e una cascina e stalla con muri solai e tetto, in detto pezzo di terra edificata e fabricata, situata nella villa o meglio borgo del luogo di Santo Stefano di Val d'Aveto predetto, con ogni annesso, le cui coerenze sono da una parte la piazza del detto borgo di Santo Stefano e in parte Giacomo de Strinati tenente [affittuario] del Signor Lorenzo della Cella, dall'altra la strada pubblica a partire dal rivo che scorre presso il castello del detto luogo, dall'altra Giovanni Maria de Bianchi e eredi del fu Michele della Cella, dall'altra gli eredi del fu Meneghino de Pilati e in parte Giovanni Calabria tenente[affittuario] de l'Illustrissimo Signor Antonio Doria, fatti salvi altri errori di confini.
Parimenti un pezzo di terra ortivo posto come sopra dove si dice di là del Rivo predetto per quanto sia, le cui coerenze sono da una parte detto rivo, dall'altra gli eredi del fu Alessandro di Mareto (Mileto), da una parte il predetto Illustrissimo Signor Antonio Doria, dall'altra detto rivo salvo[errori di confini], come si è detto sopra.
Parimenti un pezzo di terra coltiva posta come sopra dove si dice nei Santi Pietri...
[...] Parimenti un pezzo di terra coltiva posta come sopra ove si dice nella Chiosa...
[...] Parimenti un pezzo di terra coltiva posta come sopra ove si dice dal molino de Lagasio...
[...] Parimenti un pezzo di terra coltiva posta nella villa di Rezzoaglio ove si dice nel Scagno... [...] Parimenti un pezzo di terra coltiva posta come sopra ove si dice Pre Griso...
[...] Parimenti un pezzo di terra coltiva posta nel territorio di detta villa Rezzoaglio ove si dice nel Scagno dell'Isola...
[...] Parimenti un pezzo di terra coltiva posta come sopra ove si dice Pregrisso...
[...] Parimenti un pezzo di terra prativa posta nel territorio di villa Cabanna, episcopato di Tortona, ove si dice Amareto (Mileto), che è cinquanta pertiche, ossia circa, le cui coerenze: da una parte Stefano della Cella, dall'altra Gio. Maria della Cella, da una parte il fiume Aveto, dall'altra la strada pubblica salvo altri [errori di confini], come si è detto sopra."
I legami fra detti Malaspina e i Della Cella si rinsaldarono con alcuni matrimoni: Caterina, figlia di Antonio fu Lodisio di Casanova, sposa Stefano Della Cella, probabilmente uno dei confinanti presso la proprietà di Mileto. Laura, figlia di Rolando fu Pietro di Casanova, sposa Vincenzo Della Cella, a tal proposito Cfr.: GIORGIO FIORI,I Malaspina. Castelli e feudi nell'Oltrepò piacentino, pavese, tortonese, Piacenza 1995.
Il Poggio, detto "de gh'Avei" dai valligiani del comprensorio di Rezzoaglio, è in una posizione leggermente avanzata rispetto all'attuale "strada napoleonica" (espressione usata dai valligiani per indicare il percorso di cresta che, in quella zona, si svolge per la maggior parte nel territorio che lo spartiacque assegna al Comune di Rezzoaglio).
La strada napoleonica, cosiddetta, probabilmente, perché riattata a fini militari dagli Ingegneri di Napoleone durante la dominazione Francese delle terre di Liguria, è un antichissimo percorso, definito dal GHILARDUCCI "tracciato Patranico".
EUGENIO GHILARDUCCI in Antiche genti di Liguria: Il Bargaglio, pagg. 127-128, cita: "...Questo tratto veniva dall'antico denominato anche tracciato patranico (via che dicitur patranico); la Patrania, dal greco pas tutto e agna (acqua), in pratica seguiva i crinali del Bisagno, del Trebbia e dell'Aveto per raggiungere i territori di Piacenza. La partenza a mare avveniva da Sori, raggiungeva appunto le citate località di Pannesi, S[an] Oberto, Bragalla, Scoffera girando a destra per il crinale del Lavagnola sino al Portello e proseguendo lungo la strada detta "della Corsica", Costa Finale, passo Fregarolo, Gifalco sino ad Orezzoli, scendendo a Ponte Organasco o al Confiente ai limiti della pianura piacentina.
Per secoli questo itinerario, alquanto scomodo, fu percorso da numerose carovane commerciali; un via vai incurante delle avverse condizioni metereologiche invernali che spesso vedevano dominare pioggia o neve lungo il percorso ma che era garantito da un minor pedaggio richiesto dai vari feudatari e da sporadici attacchi dei briganti della strada. Fu verso il 1200 che il tracciato patranico subì una decisa deviazione garantita dai potenti Malaspina che predisposero la sorveglianza contro il brigantaggio di fondovalle: sollecitati dai commercianti bergamaschi, cremonesi, milanesi e dagli stessi piacentini, i Malaspina permisero il riassetto e la sicurezza facendo discendere le carovane dal Lavagnola a Montebruno e da lì, seguendo il fondovalle, Isola, Gorreto, Ottone sino al bivio di Organasco per poi proseguire lungo le strade tradizionali.
Questa variazione permise la costruzione dell"hospitale" di Montebruno nel 1291 retto da Ansaldo canonico di Rovegno per il ricovero dei viandanti sulla falsariga di quello già in funzione a Bargagli, nel 1267 il Malaspina per incentivare il commercio dei mercanti fiorentini di Genova rappresentati dai Stoldo prometteva loro di lasciar "passar tutti li panni e torselli e qualsiasi altra merce de li fiorentini" senza pedaggio (cfr. Arturo Ferretto, Atti S. L. S. pag. )"
Rammentiamo che la strada di fondovalle sarà chiamata: 'Caminus Janue'. Cfr.: Le rotte terrestri del porto di Genova. Viaggi nelle valli Polcevera, Scrivia, Bisagno e Trebbia attraverso i secoli, Testi a cura di Giovanni Meriana e Giovanni Ferrero, SAGEP, Genova, giugno 2004, pag. 92.
Ciò detto, per quel che riguarda l'utilizzo in epoca medievale, pare che detto Percorso, o Itinerario, da alcuni studiosi definito "strada preromana" fosse utilizzato per far giungere merci dall'emporio di Genova verso Piacenza, essendo "strada di scorrimento veloce", con buon soleggiamento sino a tarda ora. Il percorso venne utilizzato dai banditi nel cinque-seicento per rifugiarsi negli Stati a ridosso del Piacentino e non essere importunati dalle squadre, dei soldati Corsi, inviate dalla Repubblica di Genova a dar loro la caccia. Lo si rileva da un documento che rintracciai in Archivio di Stato a Genova, Sala Bartolomeo Senarega filza 598, 1607- 2°, Riviera e monti di Levante, N.202, che riproduco. È un foglio interno, che riguarda una delazione, che trascrissi nel timore non venisse fotocopiato. Ebbi, in verità, le fotocopie del rilascio del Chiarello corso, con la delazione, e quelle di altri episodi banditeschi dell'epoca:
Chiavari Dal Capitano 18 di ottobre 1607.
Del Chiarello corso De Rovegni, et altri band[it]i con un'aviso-
All' Ser[enissi]mo et Ecc[ellentissi]mi S[igno]ri Duce et Gover[nato]ri Della Rep[ubli]ca di Gen[ov]a
[...]Li Rovegni sono In Compiano ma doi di loro sono quasi di continuo a Bobio Savatarello ma più si trattengono In Varsi In lo monastero de fratti di S[an]to Agost[i]no che vi e. con essi sono quasi sempre In Varsi Marchetto Cozzo di Borzonascha Caramella et Antonio da Trebecho vi vanno ancora ivi con li prenominatti Gianello de Michelle e Benedetto Canè, e, chi havesse licenza de andarli si farebbe all'Improviso certa presa, Il corso di d[ett]o Gianello, e Canè, è di Compiano In Val de Aveto In la Ventarola a, Lorsega et a Bargagli, e tal volta, a Ossi (Uscio, Ousci così lo si pronuncia ancora in Val d'Aveto) villa di Recho quando vogliono passare a Bobio, o, Varsi si parteno di Val de Aveto tirando p[er] la costa di Ciffalco et il monte di Orezi(Orezzoli) e, vanno a, callare di uno miglio app[res]o Bobio - sono rissetatti ancora ad Arpe villa di là da Trebbia sete (7) miglia Stado de Mallaspini.
L'altra compagnia sono tredici cioè, Battino, Tognino Steffano E Giorgio Marraglia (Maragliano) Tomassio Ferreri un Tassino dui Cavagnari gli altri no so ancora p[er] nome li loro viagli sono da Bisagno a, Moranegho alla Scofferra verso Montoglio da Rocatag[liat]ta In Barbazellatta e qualche volta di notte a, Montebruno ma di raro ma cossi a. q[u]esti come a. quelli di sopra sarà fatichosa cosa il prenderli- chi non a, spie loro amici che li vendino, Niceggi Repetto che sta In Val de Aveto sarebbe ottimo p[er] attacarla alli Rovegni et altri di q[u]ella fatione- qualche de Cresci di Rochatagliatta, o Carboni di Moranegho o, de Ricci de Montoggio sarebbero boni p[er] vendere gli altri se particularmenti Intendero altro lo sapra-
Il percorso della delazione del 1607, nel tratto costa di Ciffalco monte di Orezzoli, mediamente ricalca il percorso descritto dall'anonimo nella descrizione dei confini parrocchiali.
Fra le righe, si rileva, pur descritto sommariamente, l'itenerario da Genova in Val d'Aveto, sulla direttrice Bisagno- Scoffera- Barbagelata.
Riguardo al Poggio degli Aveti, posso dire, per averlo ispezionato alla ricerca dei ruderi del castello, siti sul Poggio detto Castello(metri 1218) a breve distanza dal succitato, che è interessante come luogo per insediarvi un fortilizio, a controllo dell'itinerario, essendo sulla strada che da Rezzoaglio sale verso i passi con la Val Trebbia. Alcuni ruderi di muro addossati ad una roccia, del Poggio degli Aveti, parrebbero indicare qualche ricovero o insediamento.
Riguardo alle valutazioni dell' anonimo il Poggio degli Aveti, non è più alto dello Scorteghero, o Oramara, ma è facile, per ragioni di prospettiva, valutare più alto il monte da dove si osserva rispetto ad altri in lontananza, inoltre la distanza fra i due monti è più marcata.
Interessante rilevare che l'espressione gh'Avei, con l'articolo gli pronunciato dai valligiani nella forma gh, parrebbe contrazione del ghe probabile residuo lessicale di origine provenzale.
Nel "Benvenuti". Targa dell'ospitalità Piacentina riproducente una epigrafe datata 1330, rinvenuta nel castello di Torrechiara in Val Trebbia (copia avuta da Gioivanni Ferrero), si legge GHEVERA , forse equipollente a un Gli verrà, o Ci verrà, d'ascendenze "trobadoriche".
La corte dei fratelli Alberto Malaspina, poeta provenzale egli stesso, Morello e Obizzo II, era famosa per l' ospitalità data ai cantori provenzali, che magnificarono l'ospite con versi rimasti famosi, alcuni composti nel castello malaspiniano di Oramala in Val Staffora. A proposito della corte di Oramala,secondo CARLO MARIO BRUNETTI, La Corte Trovadorica dei Malaspina, in Castelli Liguri, Genova1932,pagg. 264-273,dei tre fratelli pare che il solo Obizzo fosse considerato liberale ed ospitale.
Gerardo di Borneilh, gentiluomo limosino, considerato secondo il Nostradamus le maistre des trobadours fu il primo cantore trovadorico che sul finire del XII secolo frequentò Oramala.
La frequentò poi il famoso Rambaldo di Vaqueiras, che in una celebre tenzone rivolge ad Alberto Malaspina espressioni non proprio gentili, dipingendolo sia sfortunato in guerra che in amore.Colui che ricevette maggiori espressioni di stima dai trobadori fu Guglielmo Malaspina figlio di Morello, seguito dal cugino Corrado di Obizzo II.
Secondo il BRUNETTI, op. cit.,p.270: "Gerardo di Borneilh dirigeva a Guglielmo Malaspina un profondo ammaestramento d'amore,e, poco dopo, anche Aimerico di Pegulhan inviava da Ferrara a Guglielmo Malaspina una canzone d'Amore che così terminava: Signor Guglielmo Malaspina, l'onore voi possedete di tutte le buone virtù e d'amore, di cui voi siete meglio preso che Guido di Natuoil, perché siete valente e fate amorose accoglienze.
E altre canzoni ancora Aimerico scriveva in onore di Guglielmo, specialmente a proposito della quarta crociata, bandita nel 1203 da Innocenzo III, e un famoso rimpianto all'epoca della sua morte (1220): É morto il marchese Guglielmo Malaspina che fu specchio e maestro di bene...
Oh, Dio come sono accorciati i raggi che illuminavano Toscana e Lombardia!... E a lui vennero qui, da lungi, guerrieri e ricchi giullari, che muovevano a vederlo, e che egli sapeva onorare e tener cari più di ogni altro principe di qua o di là dal mare, per ricevere quei suoi doni che mai ad alcuno mancavano, giacché molti cavalli grigi, bruni e bai donava più sovente, e altro arnese, che alcun altro barone ch'io mai vedessi o sapessi!...
[...] Senonché, oltre Guglielmo, anche il cugino Corrado ebbe a ricevere gli elogi e i canti dei poeti provenzali. Raimondo da Tolosa dice di lui che è così ricco di pregi da poterglisi dare il nome di Soprattutto. E dissero la lode di lui lo stesso Alberto Sisteron e Aimerico di Pegulhan."
Sempre secondo il BRUNETTI, Corrado Malaspina (1221-1253) sposò Costanza figlia naturale dell'Imperatore Federico II al quale pare avesse salvato la vita nel 1248 nella guerra contro Parma.
Partecipando all'impresa di Terra Santa, con l'invio di una trireme armata in soccorso del re di Francia, San Luigi fu dispensato dall'interdetto e gli fu concesso nel 1248 di fregiare il proprio stemma con l'impresa del Leone bianco con la corona in testa, che campeggiava già sull'impresa del Re Luigi di Francia, divenuto poi parte integrante del nuovo stemma dei Malaspina del ramo dello spino secco il campo rosso al leone bianco rampante coronato d'oro e sostenente uno spino secco nero.
Da Corrado discesero, oltre a Franceschino, Manfredi e Federico, Alberto, che dette origine al ramo dei Malaspina di Val Trebbia e Moroello, che dette origine al ramo di Mulazzo dal quale per alterne vicende derivò quello di Santo Stefano d'Aveto e quello di Casanova di Rovegno.
Intorno al 1500, i Malaspina del ramo di Casanova, reclamavano antichi diritti in Val d'Aveto.
Rocca Bruna (1418 metri) è il maestoso massiccio montuoso (dal caratteristico color bruno dovuto alla roccia serpentinosa) che domina Fontanigorda e Casanova.
Dal Roccabruna si controlla gran parte della Valle del Trebbia ed un ampio scorcio della Val d'Aveto, ma è in posizione poco difendibile.
Secondo il Tuvo in "Itinerari dell'Appennino Ligure. Zona 5. Valli Aveto, Fontanabuona, Sturla, Trebbia", Chiavari 1981, pag. 159:
La Rocca Bruna, che segna i limiti amministrativi fra i comuni di Rovegno e Rezzoaglio, ci offre un panorama eccellente; oltre ai vicini monte Oramara, Montarlone, Gifarco e Castello Fante, spiccano il Lesima, l'Alfeo, l'Antola, il Caucaso, il Ramaceto, lo Zatta, l'Aiona, il Penna, il Maggiorasca, il Crociglia, per citare soltanto i più notevoli.
Cifalco parebbe derivare da Girfalco o Girifalco, plurale Chifalco, dall'antico nordico GEIRFALKI, ossia Falco delle regioni settetrionali che vive nelle foreste e nidifica in rupi inaccessibili (falco gyrfalcus). Cfr.:Vocabolario Zingarelli, Milano1965, pag. 648.
Rupe inaccessibile appare il maestoso monte Gifarco o Cifalco (metri 1380), un cono di roccia utilizzato per impiantarvi un posto di avvistamento ai tempi dei Malaspina/Fieschi.
Ancor oggi, si nota in vetta una spaccatura nella roccia, forse attrezzata all'uopo.
Secondo GIUSEPPE FONTANA, Rezzoaglio e Val d'Aveto (Cenni storici ed episodi), Rapallo 1940, pag. 92: "[...] come pure sulla somita del Cifalco pochi ruderi comproverebbero che ivi a un tempo un luogo di vedetta permetteva ai doganieri controllare gran tratto di detta strada..."
Dal Gifarco si controllava la strada che saliva da Fontanigorda(metri 819) sino al Passo del Gifarco(metri 1264), per poi scendere tramite mulattiera in località Brignole(metri 749),indi a Molini di Brignole (metri 720) - paese fondato secondo la tradizione da Cella Michele di villa Brignole - o su Villa Piano(metri 820-840), villaggi del Comune di Rezzoaglio.
Dal Passo del Gifarco, svoltando a Sud, si poteva proseguire in costa direzione Barbagelata (metri 1115),Passo del Portello (metri 1092), Scoffera(metri 674) e quindi Genova; svoltando a Nord seguire la direttrice Orezzoli (metri 994), Cariseto (metri 982), Cerignale (metri 694), Bobbio (metri 272), quindi Piacenza.
Dalla cima si spazia su ampi tratti dell'alta Val Trebbia, sin verso il Pavese e il Piacentino, e verso i monti d'Aveto a ridosso delle valli Nure, Taro, Sturla e Fontanabuona. Nelle giornate limpide si scorgono le Alpi.
Sulle carte moderne vengono indicati i due passi di Gifarco e Castel del Fante. In realtà esiste una sella a quota 1269 denominata Passo, a Sud del monte Castello Fante, da non confondersi col Passo del Gifarco (metri 1264), che è il vero accesso alla valle dell'Aveto venendo dalla valle della Trebbia, limite fra gli attuali comuni di Rovegno e Rezzoaglio.
Cfr. F. TUVO, Itinerari dell'Appennino Ligure-Zona 5- Valli:Aveto, Fontanabuona, Sturla, Trebbia, Chiavari 1981, pag. 173.
Dal Cifalco prese il nome la strada che vi transitava detta appunto di Cifalco nel famoso documento di permuta del 1251 fra il Corrado Malaspina sopracitato e i de Meleto.
Estratto da MICHELE TOSI, «Orandum, laborandum, legendum» nel segno di Colombano: da San Pietro in Ciel d'Oro alla pieve di Alpepiana, in "Archivum Bobiense...", op.cit., pag. 116: "[...] Hec sunt ville et terre: molendina Sancti Stephani, et illud de Grameza, et illud de Alpeplana, et totum hoc quod habet in Nuce tam in hominibus quam in aliis, et Lertula similiter, et Resuagno, et Alpeplana, et Visuprano, et Vimezano, et Cunico. Preterea dictus dominus Conradus marchio Malaspina per se suosque heredes in perpetuum iure paterni, gentilis et honorabilis feudi dedit et investivit predictis Gherardo, Bonifacio et Reinardo et Gherardo, in se suosque heredes masculos et feminas ab eis legitime descendentes, denarium unum et dimidium in pedagio Vallis Avanti, item in somis asinorum, et pedagio minuto. Et si forte contingeret some grossiores haberent transitum, debeant habere denarium unum per somam, undecumque vadant predicte some, sive per Cellam vel per Cefalcum, vel per Vallem Avanti, et dictus denarius unus et dimidius non possit callare, quin dicti investiti semper habeant predictum denarium unum et dimidium in dictis somis asineis non obstante aliqua diminutione et alaxa, quam dictus marchio vel heredes eius faceret de predicto pedagi. Et si contingeret, quod predictum pedagium ascenderet in maiori quantitate, quam modo colligitur, ad eamdem rationem debeat augeri et augmentari pars illius denari unius et dimidii secundum illam quantitatem ad quam ascenderet.".
Cfr.: GIORGIO FIORI, Permuta tra i Malaspina e i Della Cella dei beni di Val d'Aveto e di Val Trebbia (27 Gennaio 1251), in I Malaspina. Castelli e feudi nell'Oltrepo' piacentino, pavese, tortonese,Piacenza 1995, pag. 271. Cfr.: EMILIO PODESTÀ, La Valle dell'Aveto. dai de Mileto, vassalli dei Malaspina, a Gian Luigi Fieschi, in I Fieschi tra Papato ed Impero. Atti del Convegno Lavagna, 18 dicembre 1994 a cura di DANIELE CALCAGNO prefazione di GABRIELLA AIRALDI, Lavagna 1997, pag. 404-405.
Il testo suddetto dice pressappoco:
"[...]Questi sono ville e terre: i mulini di Santo Stefano, e quello di Gramiza, e quello di Alpepiana, e tutto quello che possiede in [Villa] Noce tanto in uomini che in altro, e similmente in Ertola, e Rezzoaglio, e Alpepiana, e Vicosoprano, e Vicomezzano, e Cugno[della Cascina]. Inoltre detto Signor Corrado marchese Malaspina a nome proprio e dei suoi eredi in perpetuo secondo la legge e paternamente,gentile e onorabile feudo assegnava ed investiva i predetti Gherardo, Bonifacio et Rinaldo et Gherardo, per se e i loro eredi maschi e femmine da essi discendenti legittimi,un denaro e mezzo sul pedaggio della Val d'Aveto,egualmente per le some d'asino, e il pedaggio minuto.E se per caso accadesse che le some grossolanamente abbiano transito, debbano avere denari uno per soma, da qualunque parte vadano predette some, sia per Villa Cella, o per Cifalco, o per [la via di]Val d'Aveto, e detto denaro uno e mezzo non debba calare,anzi detti investiti habbiano sempre detto denaro uno e mezzo sopra le dette some d'asino non ostante qualche diminuzione e ribasso, il detto marchese o suoi eredi facciano al predetto pedaggio. E se accade che il predetto pedaggio ascende in maggior quantità, in modo che si raccoglie, allo stesso modo la razione debba accrescere e aumentare in porzione del loro denaro uno e mezzo secondo quella quantità che ascenderà".
Estratto da: Carta pubblicata dal Regio Corpo di Stato Maggiore dell'anno 1853 - Foglio Torriglia
Come si può notare, allora la presenza del mulo fra i nostri monti, era sporadica, tant'è che si parla di some d'asino, così dev'essere stato probabilmente anche nell'età romana, e per gran parte del medioevo. D'altronde somaro, ossia asino, è derivato da soma, ciò a noi pare indicativo.
I romani, però, conoscevano bene il mulo. VARRONE. Rust. 2. 8.1 cita: ' ex equa et asino fit mulus', ossia 'da una cavalla e un asino nasce il mulo'. CATULLO. 83. 3. cita: 'mule nihil sentis', ossia 'da muli nulla sentono', similitudine per gli uomini, che si riferisce al carattere del mulo che tira dritto infischiandosene dei richiami del padrone. Cfr.: IL DIZIONARIO DELLA LINGUA LATINA, Le Monnier, Firenze 2000,p.768. Ancor prima il mulo, già, lo conoscevano i popoli della Mesopotamia.
I muli nelle nostre Valli compaiono con maggior frequenza nel '500, ne fan fede i numerosi processi ai banditi ove si registrano assalti ai mulattieri.
Estrapolando dal processo a Nicolò della Cella nel 1583 si evince: "[...] Giovanni della Pessia di Rapallo mi ha mandato per Guglielmo suo fameglio di Val di Nure da far un paro di calzoni verdi che ho indosso perché li faccia favori con li altri banditi acciò non li dieno fastidio alle sue mule e me li lassò in la hostaria di Galletto Cella...". Altresì, estrapolando da una denuncia fatta nel 1583 da Lorenzo Castello di Matteo, mulattiere di Val di Trebbia, giurisdizione dell'Illustrissimo Giovanni Andrea Doria: "[...] qualmenti oggi sono quindeci giorni che, havendo carricato due sue mule di scarpe e corie (cuoio) qui a Rapallo di messer Petro Castagneto del Andrea per doverle portare alla fera de Varsi, quando è stato in la villa de Lorsegha (Lorsica) asai apreso alla Ventarola insieme con Corombanino da Castello, che poteva essere doe hore di giorno, fusimo asaltati da doi huomini armati de archibugi et cimitarre..." Cfr. SANDRO SBARBARO, Storie di banniti et mercadanti tra le Valli dell'Aveto, della Trebbia e del Taro, in La montagna tosco-ligure-emiliana e le vie di commercio e pellegrinaggio: Borgo Val di Taro e i Fieschi, Atti del convegno (Borgo Val di Taro, 6 giugno 1998), a cura di DANIELE CALCAGNO, Borgo Val di Taro 2002, pagg. 458-459.
E ancora, lo Statuto de Santo Stefano de Vale de Aveto, alla Rubrica 84 , cioè quella aggiunta nella seconda metà del '500, tratta del pedaggio fatto pagare a cavalli e a muli: "Anchora, di ciascaduno cavallo, mulo, cavala, mula, muletto, o pulo (puledro) soldo uno di Genova per ciascheduno".
Sempre riguardo ai muli,GIUSEPPE MICHELI in Il Marchesato di Santo Stefano d'Aveto ed il suo passaggio dai Fieschi ai Doria, in "Atti della Società Economica di Chiavari", VI (1928),pagg. 79-80, riporta un documento detto Relazione della giurisditione e delle entate del feudo di Santo Stefano, databile al 1593, il cui estratto così recita:
"Nella Villa di S[an] Stefano sono due Case di V[ostra] E[ccellenza], l'una assai piccola vicino al Castello; che serve di stalla, et di feniera, et l'altra più grande dall'altra parte del Ponte verso la Chiesa, che p[er] l'inondazione dell'acque hà patito qualche poco, et non solo è discoperta, mà non è alsata tutta ancora al segno, che dovea alsarsi.
Sopra la p[ri]ma piccola si potrebbe farsi un solaro da tener corte il Commessario, et credo, che si farebbe in poco più di 200 Libre. L'altra più grande si potrebbe fornire, et accomodare p[er] farne Osteria, et si farebbe à mio giudizio con 300 scuti, et credo, che sarebbero ben spesi, p[er] che con essere la Casa capace, et buona, et tutte l'altre piccole, et triste, non potrebbe mancare di aver buono avviamento, et come non s'impedisse agl'altri il farne, nessuno se ne potrebbe dolere, anzi crederei, che lo dovessero veder volontieri, p[er] che il buon allogiamento sul condur Gente al mercato il quale co' la strada si farà ogni dì migliore con la sicurtà del Camino, che causerà l'autorità di V[ostra] E[ccellenza], et la provisione del Barigello di Campagna, et già intendo, che li Mulatieri Fiorentini, et Luchesi, che fanno il Viaggio di Francia vanno pensando di far questa strada, p[er] che avvanzano quattro, ò cinque giornate et spese di qualche Gabelle, et se lo facessero sarebbe di gran giovamento non solamente al dazio di S[an] Stefano, mà à quello di Torriglia, et à tutti gl'altri Luoghi di V[ostra] E[ccellenza]".
Notiamo che già all'epoca si ragionava da palazzinari, la frase sibillina: et come non s'impedisse agl'altri il farne, nessuno se ne potrebbe dolere, anzi crederei, che lo dovessero veder volontieri, forse, è in "nuce" la prima dichiarazione che si conosca su un futuro piano di espansione di Santo Stefano d'Aveto, approvato col "silenzio assenso".
All'epoca infatti a parte il Castello e la Casa capace, et buona le altre si presentavano piccole, et triste, quindi il 1593 può essere preso come data "ante quem" per la futura espansione del borgo. Interessante pure la citazione della presenza di un mercato in Santo Stefano d'Aveto, fino ad ora l'unico documento così datato giuntoci. Molto interessante il progetto dei mulattieri Fiorentini e Lucchesi, che si recavano ai famosi mercati di Francia, di passare in Val d'Aveto, perché risparmiavano quattro o cinque giornate di cammino e pagavano meno dazi. Detta strada verrà poi confermata più tardi dai Vinzoni, ossia Panfilio senior e il figlio Matteo, nelle loro relazioni alla Repubblica Genovese.
Estrapolando da una lettera al S[igno]r Restori, indirizzata da Varese(Ligure) il 14 Giugno 1688, da Panfilio, o Panfilo, Vinzoni, padre di Matteo, apprendiamo: "[...] Ritornando poi da Compiano m'incontrai sul medemo Stato in alquanti mulatieri carichi di sale quali interogati di dove venivano e che strada facevano mi dissero da Sarzana e che tenevano la solita strada di Zoagallo dove anche prendevano la boletta, e mi riuscì haverne due che accludo, soggiungendomi che pagavano soldi dieci per soma per passare nel territorio di Zerri, che però hora andavano renitenti in voler più far bolette,ateso che il Dottor Zambeccaio di Pontremoli e Compagni Impresarii di d[ett]o Datio [per quale mi dissero pagare mille piastre fiorentine l'anno alla Camera del Granduca, e che l'era stata afitata per dieci anni], insistono in voler obligare li mulatieri a carcare d[ett]o sale nella Doana novam[en]te eretta in d[ett]o luogo di Zoagallo (Giovagallo), e che la medema mantengono abbondantiss[i]ma di sale che per conto loro fanno condurre da Sarzana, et ivi poi la valutano L.11.10, la mina compresa la boletta, e che di già ivi ne havevano caricati mulatieri fra i quali uno di Tarro, et un altro Celasco sudito del S[igno]r Prencipe Doria chiamato il Zan quale haveva permutato il sale in tanto riso..."...". Archivio di Stato di Genova, Fondo Matteo Vinzoni, Faldone 99/7.
Cfr.: SANDRO SBARBARO, Matteo Vinzoni Cartografo, Rezzoaglio 1999.p.26.
Cfr.: SANDRO SBARBARO,Matteo Vinzoni Cartografo e la Val d'Aveto, STORIA LOCALE Nuova Serie N° 4, Genova, Settembre 2004, Stampato in proprio, II.a one, pag. 26.
Occorre notare che l'asino porta una soma inferiore rispetto al mulo, che essendo un ibrido fra un cavallo e un asino è più robusto.
A proposito di muli e mulattieri GINO REDOANO COPPEDÈ in La Valle dell'Aveto nella storia delle comunicazioni appenniniche, in Pietre disposte a suggerir cammino. Castelli e ville del Districto de Vale de Aveto, Atti della Giornata di studio , Rezzoaglio, 21 ottobre 2001 - a cura di DANIELE CALCAGNO, Rezzoaglio 2001, pag. 61, cita:
"È difficile stabilire quanti fossero, perché basti pensare che un mulo, che loro conducevano e accudivano per sei-otto ore al giorno, non poteva trasportare più di centocinquanta chilogrammi per volta distribuiti metà per ogni lato del basto. Occorrevano sei-sette muli per trasportare una tonnellata di merce e siccome occorreva un mulattiere ogni due-tre muli, ogni tonnellata di merce da trasportare richiedeva più di tre persone al seguito. Per trasportare il carico sbarcato in uno dei tanti scali della Riviera Ligure da una piccola imbarcazione di non più di venti tonnellate di carico, come allora era consentito dalle disposizioni doganali della Repubblica di Genova, occorrevano fra i centotrenta e i centocinquanta muli per volta, accompagnati da cinquanta a settantacinque mulattieri e le carovane che attraversavano i monti liguri erano composte in media da un centinaio di animali, accompagnati da una quarantina di uomini. [...] Vorrei che, così come la Liguria affacciata sul mare è oggi ricordata per i suoi «mille bianchi velieri» di un tempo, la Liguria affacciata sui monti fosse ricordata per i suoi coraggiosi mulattieri e per i suoi umili e robusti muli, carichi e affaticati da ogni genere di merce da portare nel più lontano angolo d'Europa o per essere imbarcata alla volta del più remoto angolo del Mar Mediterraneo..."
Altra descrizione dei mulattieri la rileviamo da GIUSEPPE FONTANA,Il Mulattiere in Rezzoaglio e Val d'Aveto (Cenni storici ed episodi), Rapallo 1940,pp183-186:
" Fra le innovazioni apportate dalla strada camionabile, nella valle dell'Aveto, vi è la scomparsa del tipico mulattiere di un tempo. Ricordo che da ragazzo osservavo transitare giornalmente lunghe file di muli, seguiti dai loro conducenti.
Essi si distinguevano da un cappello di feltro impermeabile, dall'ampia tesa. Quando pioveva da un ombrello colorato; nella stagione invernale una pesante coperta di lana, stretta attorno al collo, il più delle volte sostituiva il mantello; spessi ed alti gambali di lana, esternamente abbottonati, fissati alle scarpe mediante una cinghia di cuoio, completavano la divisa.
Con la stagione variava anche l'abbigliamento dei muli.
Nell'inverno una grossa sonagliera dava l'avviso del loro passaggio; nell'estate un grembiale di funicelle, adorne di fiocchi, e una tela sotto la pancia, servivano a preservarli dalle mosche e dai tafani.
Un proverbio locale diceva: Chi vuol provare le pene dell'inferno, faccia il fabbro d'estate e il mulattiere d'inverno. Tale detto forse rispecchiava la verità.
Rievocando gli inverni di 50 anni prima, quelli attuali sembrano di gran lunga più miti. Voler paragonare le condizioni generali delle strade, dei paesi, delle popolazioni di allora, con la situazione presente, vi è da riscontrarvi una diversità come corre fra il giorno e la notte.
A quell'epoca i poveri mulattieri, per buono o cattivo tempo, in tutte le stagioni dell'anno, compivano i loro 30 chilometri giornalieri di percorso. Sia partendo da S[anto] Stefano d'Aveto, come da altri paesi della vallata, la meta era Borzonasca. Un giorno era dedicato all'andata, l'altro al ritorno. Il loro lavoro era retribuito in ragione di lire quattro al quintale e talvolta anche meno.
A Borzonasca trasportavano patate, formaggi, legname e carbone. Al ritorno melica, farina, commestibili, cuoi, tessuti e articoli vari. La strada da percorrersi era quasi priva di ponti. I guadi sul torrente Rezzoaglio e dell'Aveto a Cabanne, rappresentavano nelle pioggie, punti difficili e pericolosi a superarsi. Numerosi altri fossi, nella stagione invernale si tramutavano in campi di ghiaccio, provocando ai muli frequenti cadute.
Al passo del Bozzale, sovente imperversava la tormenta, la strada ripida e impervia, che scendeva giù fino alla località delle Inegere[voce dialettale - stà per Ghiare], ostacolava il regolare andamento delle povere bestie, per tramutarsi poi al ritorno in faticosa salita.
Tutte queste difficoltà però non abbattevano quegli umili carovanieri della strada. La loro tenacia non conosceva ostacoli, e la meta veniva quasi sempre raggiunta.
I disagi del mulattiere richiedevano ogni tanto qualche mezzina di vino: le osterie più frequantate erano quelle del Milan a Rezzoaglio, della Cristina a Cabanne, e quella detta la casa di legno (attualmente scomparsa) situata sopra i Casè [Casali]. In questa ultima al ritorno da Borzonasca, tanti di loro facevano colazione, altri la rimandavano fino a Cabanne.
Alla sera quando pernottavano a Borzonasca, alloggiavano all'antico albergo Carlini (ormai chiuso da anni). Ivi un abbondante minestrone, piatto di lesso, un litro o due di vino, una buona dormita, era la chiusa della loro giornata.
Questi eroi della strada, di cui uno è ricordato da una lapide posta nell'antica cappelletta del Bozzale, per essere stato ivi colpito dalla folgore, oltre [a] Borzonasca, sovente si recavano nel Piacentino.
In quell'epoca quasi tutto il vino che si consumava nella valle dell'Aveto, proveniva da quella regione.
Si recavano al ponte dell'Olio, a Bobbio, a Mezzano Scotto, al Perino, a Varzi. D'inverno vi impiegavano quattro giorni, di estate tre, percorrendo una media giornaliera di oltre 50 chilometri.
I monti, passi obbligati da superarsi, erano alti: il Crociglia, il Carevole, il Dego, il Brallo; dotati di strade pessime. Talvolta su questi monti vi pernottavano. Allora i muli venivano scaricati dal vino e lasciati liberi a pascolare nei prati. Per conto loro cenavano con provviste portate, e allietavano la sosta con una abbondante bevuta.
Altra prerogativa del mulattiere di allora era quella di scagliare insulse imprecazioni alle sue povere bestie.
Ne ricordo uno, che mentre i suoi muli traversavano il torrente Rezzoaglio in piena, dalla riva augurava loro urlando di andare in fuoco in fiamme all'istante, mentre purtroppo le povere bestie stavano lottando con la corrente, bagnate come pulcini.
Poveri mulattieri, malgrado la vita di sacrifici, non si lamentavano della loro sorte.
Erano abituati ai disagi e si contentavano del loro stato.
Al presente qualche vecchio superstite sussiste ancora, forse i sacrifici di un tempo, oggi gli appariranno cari ricordi, come a noi la tipica figura dell'antico mulattiere, che passava avvolto nel mantello, coperto di neve, rimane un nostalgico ricordo, non privo di rimpianto."
Pure nelle poesie del poeta avetano BATTISTA TOSI, detto PINO, in gioventù mulattiere, si avverte ancora intatto il fascino dell'epopea dei muli. A proposito dei mulattieri il TOSI in I figli della montagna, in Emozioni, 2003, cita:
"Quanti hanno svolto seriamente questo mestiere 15-16 ore al giorno per sette giorni la settimana, ognuno con una media di 4-5 muli o più, meritano un elogio. Un lavoro durissimo, pieno di insidie, disagi, sacrifici e sofferenze.
C'era un detto: «Chi vuole provare le pene dell'inferno, faccia il fabbro in estate o il mulattiere in inverno». Ma purtroppo, anche in primavera, in estate ed in autunno, non era una passeggiata dormire all'addiaccio, sotto una pianta o fra quattro basti, con una logora coperta, materasso la terra o la pietra, cuscino la giacca, tetto il cielo, oppure una misera capanna senza letto e senza mangiatoia."
Il monte Erba bella è individuabile, secondo il nostro parere, nel Monte Ebore del Praeceptum Liutprandi.
Il toponimo deriva forse da erboro, o erborare, ossia andar cercando nei boschi, monti e campi, erbe per uso medicinale e per l'erbario (Cfr.: Vocabolario Zingarelli, Milano 1965, pag. 466) anche se Ebore richiama Eburneo.
Potrebbe essere l'attuale Monte Castello del Fante (1390 m); questo monte dai valligiani di Trebbia è detto Monte Ripa, mentre è detto Castello da quelli d'Aveto.
Il toponimo Monte Costa della Riva lo troviamo in una Carta pubblicata dal Regio Corpo di Stato Maggiore dell'anno 1853 - Foglio Torriglia.
Occorre dire che sovente i monti posti sul confine fra Aveto e Trebbia hanno un nome diverso a seconda della porzione di territorio della Val d'Aveto alla quale fanno riferimento.
Così il Monte Cefalco o Cifalco è, per i valligiani di Rezzoaglio, un'altra cima rispetto a quella che indicano (d'accordo con la cartografia corrente) gli abitanti del comprensorio di Cabanne.
Probabilmente è solo una questione di punti d'osservazione diversi, un poco come il Monte Cervino visto da Zermatt oppure da Cervinia.
Il fatto che il monte Erba bella sia il Monte Castel del Fante, sarebbe indicato dal fatto che all'anonimo appare alto come il Monte lupo, oggi Montarlone (1500 m); in realtà è più basso ma, salendo lassù, il Montarlone in distanza appare più basso per ragioni di prospettiva ed inoltre è l'unico in zona sulla cui dorsale si sviluppino discrete praterie.
Altresì, Erba bella è detta vicina a Cifarco un buon tiro di schioppo e resta a Sud est Sud riguardo alla Chiesa lontano da essa due miglia longhe, tutte caratteristiche che possono far pensare al Monte Castel del Fante, o Castello Fante, anche perché questo è l'unico monte del comprensorio da cui si possa scendere alla Cima della Garba come indica il documento dell'anonimo.
Monte lupo è il monte che i valligiani di Casanova chiamano Montarlù (il Montarlone) e che Michele Tosi (" 'Orandum, laborandum, legendum' nel segno di Colombano: da San Pietro in Ciel d'Oro alla pieve di Alpepiana ", in "Archivum Bobiense-Rivista degli Archivi storici Bobiensi", num. XVI - XVII, 1994 - 1995, Piacenza, pag. 73) ritiene di individuare nel Monte Heiulorum del Praeceptum Liutprandi.
Il Montarlone è raggiungibile con una pista, appunto da Casanova di Rovegno, oppure tramite il percorso Rezzoaglio (715 m) - Ertola (783 m) - Cappella della Madonna del Prato (950 m) - Lovari (1036 m), oppure sfruttando la famosa via di crinale nelle due direzioni Barbagelata (1115 m) o Orezzoli (994 m), con diramazioni eventuali.
Il Tuvo nel suo "Itinerari dell'Appennino Ligure - Zona 5 - Valli: Aveto, Fontanabuona, Sturla, Trebbia", Chiavari 1981, pagg. 166-167, scrive:
Il toponimo Montarlone potrebbe significare montar lou, montagna del lupo, animale selvatico che un tempo abbondava in queste vaste foreste; a testimonianza di questo significato, sta il fatto che negli immediati dintorni del Montarlone esistono altri due toponimi che hanno la stessa origine.
Si tratta di Lovari (piccolo abitato nel comune di Rezzoaglio, a quota 1036 m) e di Groppetti del Lupo (prominenza a nord-est del passo Prato di Foppiano, a quota 1350 m).
Dal Montarlone si spazia molto bene sulle valli del Trebbia e dell'Aveto, dalle quali emergono i monti Oramara, Dego, Roccabruna, Osero, Aserei, Carevolo, Crociglia, Maggiorasca, Penna, Aiona, Penice, Lesima, Chiappo, Alfeo, Carmo, Antola, Prelà, oltre a numerosi, ridenti villaggi.
L'espressione dell'anonimo confina ancora con Rezoaglio, è da intendersi confina ancora con [la parrocchia di] Rezzoaglio. La chiesa di Rezzoaglio, intitolata a San Michele arcangelo, fu eretta in parrocchia, pare, nel 1523, allora portava il titolo di San Michele de Insula, ciò sulla base di un'aggiunta al Catalogo delle chiese della Diocesi di Tortona compilato per ordine di monsignor De Zazi.
Nel libro "Parrocchie già esistenti od erette nel XVI secolo, distribuite in Vicarie, come dal Sinodo Gambara 1595, coll'indicazione della Sovranità Civile e del Feudo da cui dipendevano", pag. 92, si evince "Parrocchia già esistente od eretta"- Resuaglio, "Anno dell'Erezione" - non consta-, "Parrocchia da cui fu smembrata" - >>, "Sovrano Civile"-Impero, "Feudatario"- Principe Doria.
Rezzoaglio, pronunciato dai valliggiani Rusagni, deriva, forse, da Rus -agni, Villa fra i fiumi.
Visto che agna vuol dir acqua, tant'è che in Fontanabuona il Lavagna è L'agna, L'acqua.
GIUSEPPE FONTANA,in Rezzoaglio e Val d'Aveto (Cenni storici ed episodi), Rapallo 1940,cita: Rus- agni, Prato degli agnelli. Agna vuol dir anche Spiga, ma il plurale è Agnae.
V'è anche la versione Rus-agni, Prato degli agnocasti. L'agnocasto è un alberello, citato da Plinio come agnos, plur. agni, con foglie digitate e vellutate di sotto, e spighe di fiori violacei, di rado bianchi: si adoperava come rinfrescante (vitex agnus castus).
Cfr.: Vocabolario Zingarelli, Milano1965,p.33.
Ricordiamo che da Rezzoaglio si giunge in Val Trebbia attraverso i Passi di Ertola (metri 1320) ed Esola (metri 1304).
L'itinerario per il Passo di Ertola è: Rezzoaglio (metri 715), Ertola (metri 783), Passo di Ertola (metri 1284), Fontana del Vino (metri 1220), Casanova (metri 870).
L'itinerario per il Passo d'Esola è: Rezzoaglio (metri 715), Esola (metri 773), Casareto (metri 907), Campo Riondo (metri 1100), Passo di Esola (metri 1304), Pian Brogione (metri 1150), Fontanigorda (metri 819). Cfr.: FULVIO TUVO, Itinerari dell'Appennino Ligure - Zona 5 - Valli: Aveto, Fontanabuona, Sturla, Trebbia, Chiavari 1981, pagg. 161-164.
Da Rezzoaglio si poteva giungere in Val Sturla sulla direttice San Bartolomeo alle Lame (metri 1045),presso il Lago omonimo, Passo delle Lame (metri 1306), Giacopiane (metri 1001), Temossi (metri 599) .
Nei pressi del Passo, ai Piani delle Lame, è la Cappelletta delle Lame costruita nel secolo XVII da un certo Bernero di Temossi, probabilmente poco lontano da dove un tempo era la grande croce, che si può notare in un rilievo settecentesco dei confini eseguito per conto della Repubblica di Genova dall'Ingegner Matteo Vinzoni e dall'allegata relazione:
"Ill[ustrissi]mo Sig[no]re -Rela[zion]e 1717 di Giugno-
Per adempire à comandi da V[ostra] S[ignoria] Ill[ustrissi]ma impostimi p[er] parte della Camera Ecc[ellentissi]ma d'andar à riconoscere se siano stati variati, e dilatati i confini de Boschi delle Lame, Monte della Penna, e Sata (Zatta) situati nella giurisdizione di Chiavari in pregiudicio della prefatta Ecc[ellentissi]ma Camera, e se anche venissero dannificati sì da popoli del Dominio, che da forestieri Confinanti,[...] da d[ett]o Monte Nero al colle della Squigarda e salendo il Monte di Lariona, o sia d'Antona (Aiona) si gionge alla som[mi]ta de Monti nominati le Lame senza mai alcun termine, ove sono maggiori li danni causati dalli sud[di]ti del S[igno]r P[re]n[ci]pe Doria di Fontanigorda, Casanova, e Cella e continuando sino al Pozolo Pelato alla vista di S[anto] Stefano (d'Aveto), si cala per costiera a retta linea ad uno scoglio chiamato la Pietra delle Lame, distante dal quale passi 3. verso il Stato del S[ignor] P[re]n[ci]pe Doria è una Croce di Legno, e la strada publica per la quale andando verso Borsonasca passi 176 si ritrova due pietre che hanno figura di due testimonii di termine, senza però alcun termine, che li sud[di]ti del S[igno]r P[re]n[ci]pe Doria pretendono, siino termini, e ciò per occupare una buona parte di pascoli, che di Selva, il che pare non poter essere, perché cominciando dal bosco, andando sempre sino al d[ett]o Pozolo pelato, non vi si trova alcun termine, dividendo sempre la Costa ad acqua pendente. E da d[ett]o Pozolo Pelato per linea retta sempre ad acqua pendente a sud[det]to scoglio, e di là calando sempre per costiera va a giongere sino al Monte Bozale, e sino al confine del Vicariato di Rapallo senza mai ritrovarsi alcun termine, come dimostra una visita del 1617 a 25 aprile dal M[agnifi]co Carlo Spinola Cap[ita]neo di Chiavari...". Archivio di Stato di Genova,Fondo Matteo Vinzoni, Faldone 99/7. Cfr.: SANDRO SBARBARO, Matteo Vinzoni Cartografo, Rezzoaglio 1999, pag. 20.
Cfr.: SANDRO SBARBARO,Matteo Vinzoni Cartografo e la Val d'Aveto, STORIA LOCALE Nuova Serie N° 4, Genova, Settembre 2004, Stampato in proprio, II.a Edizione, pag. 20.
Ciò conferma perchè tale monte anticamente era nominato Monte della Croce, attraverso questa via, detta del Valico della Croce, pare che si risparmiasse circa un'ora di cammino, per giungere a Borzonasca e quindi a Chiavari, se si apparteneva al comprensorio Rezzoaglio- Santo Stefano d'Aveto.
Estratto da: Archivio di Stato di Genova, Fondo Vinzoni, faldone 99/7
A San Bartolomeo alle Lame (metri 1045) si innestava la direttrice veniente da Santo Stefano d'Aveto (metri 1017), Allegrezze (metri 920), la Villa (metri 860), Montegrosso (metri 810).
Da San Bartolomeo alle Lame (metri 1045) che (appartenente a San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia) pare dipendesse dal monastero di Villa Cella, durante la brutta stagione si poteva giungere a Villa Cella (metri 1017) sul percorso Pian di Fontana (metri 815) - case Fornelli (metri 977) - Cappella dell'Alpe (metri 954).
Cfr.: Don MARIO TRAVERSONE, La parrocchia di Magnasco compie 100 anni. Fondata nel 1884 dal vescovo di Bobbio Mons[ignor] G. B. Porrati, in 'La Trebbia', 22 marzo 1984, Bobbio N°11, pag. 4 (grazie a Valentina Fontana per avermi fornito il documento)
Tutto ciò confermerebbe l'ipotesi che i monaci generalmente, in Val d'Aveto, impiantavano i loro hospitali (o conventi) in zone ricche d'acqua, possibilmente in siti riparati, nei pressi dei passi che punteggiavano la Valle.
Accenneremo ai principali in ordine cronologico stralciandoli da un saggio che, una volta completato (occorre ancora inserire con pazienza moltissime informazioni, rintracciandole su antichi libri ed in documenti originali che certamente ancora esistono in alcune antiche parrocchie dove nessuno si prende la briga di cercarli: la storia non è becero revisionismo... ma materia degna di essere analizzata sulla scorta di nuovi dati e nuovi documenti!), sarà dato alle stampe e messo in rete.
Il saggio citato, elaborato dallo scrivente, ha il titolo provvisorio Itinerari Medievali fra Aveto e Trebbia.
Estrapolando: ' [...] Oltre Cariseto è Alpepiana, la cui corte attiva forse dal 714 secondo il Praeceptum Liutprandi regis Basilicae S[ancti] Petri Ticinensis: " [...], quod suprafacte basilice Beati Petri vel tue almitati suo dono concesserat Alpem quae dicitur Plana, (cum omnibus villis sibi conspicientibus, videlicet) fines serra de Alpe quae dicitur Longa, qua discernitur inter fines Sancti Gaudentii et Tebolaria, ', e con certezza dal 978 secondo il diploma d'Ottone II imperatore. Alpepiana, nel 1141 diventa plebe, dedicata a San Pietro e Giovanni e San Siro, con alle dipendenze, almeno dal 1148, dieci chiese e dal 1252 è probabilmente in diocesi di Tortona, ma ciò è contestato con forza dal monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia, che ancor nel 1250 sostiene che Alpeplana sia in diocesi di Pavia.[...] Sulla pista-strada per Alpepiana si trovava lo xenodochio d'Aurezali (Orezzoli) già almeno dal 1161 come si evince dalla Promissio Opizonis Malaspina marchionis super decimam de Alpeplana, e ancor nel 1296 è citata la chiesa di San Pietro d'Orezzoli, cappella della plebe di San Pietro d'Alpepiana, e quella di Selva. Ciò conforta l'ipotesi che tale via di crinale, o pista, detta poi di Cifalco, da qualche studioso messa in discussione era più che attiva (visto che i testimoni all'atto, con provenienza certa: Auberto de Petra Caprinna, Rainaldo Balbo, Auberto de Sexegna, Fulco de Tullaria, Butinus et Ingo de Turi, sono suddivisi quasi equamente fra gente di Val d'Aveto e Val Trebbia che, probabilmente, utilizzavano tale strada. Senza contare che nel 1103 nella Conventio inter abbatem Anselmum et prepositum Albertum de Petra Martina si cita: ' e ciò che fu dei figli di Carbonis de Careceto ( Cariseto) '. Nel 1245 è citato presbitero Facio de Fabrica, nel1246 è citato Guilielmo Ferrario clerico ecclesie Sancti Martini de Fabrica, nel 1280 è nominato Faciolum de Fabrica figlio del fu Lanfranci Ferrarii chierico della chiesa e dell'ospedale d'Alpalonga.Cfr.:MICHELE TOSI ,Archivum Bobiensem XVI- XVII. 1994/95. Un Bertolomeus de Fabrica è citato, con un Rubaldus Balbus e un Obertus Balbus, in - Oberto Danense permuta una terra con i fratelli Giordano de Viana e Adalasia. 22 novembre 1186. Notai Liguri del Sec XII. IV. Oberto Scriba de Mercato (1186). A cura di Mario Chiaudano, Editrice Libraria Italiana, Torino 1940-XVIII, pagg. 105- 280.Altresì a conferma di tale ipotesi interviene il Laus de controversia inter Guilelmum et Honricum super ecclesiam et hospitalem de Alpelonga dell'anno 1187, nella quale vertenza la chiesa di San Guglielmo di Tortona accampa dei diritti su Santa Maria de Alpelonga, tramite il converso Alberto, ma è sconfessata dal giudizio a favore di San Pietro in Ciel d'Oro. La chiesa e l'ospedale attivi almeno sino al 1280, erano sempre sulla detta via di crinale, probabilmente nella zona del monte Dego. Nel 1249 sono testi Ricius de Alpaplana et Iohannes Capellus de Alpaplana, nel 1252 sono testi Senus de Alaxia de Alpeplana e Ubertus Susius de Vigo Mesano.Le altre istituzioni, di probabile formazione monastica, presenti sul territorio della Val d'Aveto, almeno quelle di cui si ha documentazione certa sono in ordine d'apparizione... La corte di Torrio. Secondo GIUSEPPE BARATTINI, Torrio passato, presente, futuro, Genova 2000,p. 3. Nella prima metà del secolo VIII, Torrio risulta già trasformata in una 'curtis', il cui reddito l'abate Wala lo destinava al vitto dei monaci di Bobbio: 'Has enim curtes ad victum instituit fratrum, id est... Turrito et omnes cellas seu laborationem'. Compare, altresì, come San Pietro di Torrio almeno dall'862. Il monastero di San Michele de Petramartina Villa Cella -, documentato dal 1103 al 1251. L'ospedale del Tomarlo almeno dal 1200. [...] L'ospedale di San Bartolomeo delle Lame, almeno dal 1352. L'ospedale di Santa Maria de Petra Serorio, sopra Torrio, diocesi bobiense, almeno dal 1382. Questi ultimi insediamenti, a partire dai già citati di Torrio, Villa Cella e del Tomarlo, si trovavano in sponda destra rispetto al senso di scorrimento dell'Aveto.'. Cfr.: MICHELE TOSI,"Orandum, laborandum, legendum" nel segno di Colombano: da San Pietro in Ciel d'Oro alla pieve di Alpepiana, in 'Archivum Bobiense-Rivista degli Archivi storici Bobiensi' N. XVI-XVII (1994 - 1995), Piacenza. Cfr.: SANDRO SBARBARO, Il monastero di San Michele de Petra Martina (Villa Cella) e il suo territorio, in Insediamenti e paesaggi dell'entroterra ligure. Un laboratorio per la rinascita di Villa Cella, Atti del seminario di studio (Chiavari, 8 maggio 2001), a cura di GIUSEPPE CINÀ, Milano 2002, pagg. 33-48. Cfr.: DANIELE CALCAGNO , MARINA CAVANA, SANDRO SBARBARO, Canto di un patrimonio silente. Pietre disposte a suggerir cammino. Val d'Aveto -Guida-, Chiavari 2003. Cfr.: GIUSEPPE BARATTINI, Torrio passato, presente, futuro, Genova 2000,pagg. 3-5Ricordiamo che nel 1352 compare Federico Devoto fu Conforto ministro dell'ospedale di San Bartolomeo delle Lame, col ministro abitava il converso Pietro Devoto, ossia il fratello.
Pare strano che quasi la totalità degli storici medievisti Liguri, non si sia accorta dell'esistenza di questi importanti insediamenti monastici: celle, ospitali, corti, abbazie, probabilmente, alcuni, già dall'VIII secolo, e via-via sino verso la metà del 1300, in un comprensorio montano, quello Avetano, relativamente piccolo, ma densamente attraversato da strade o piste che lo mettevano in comunicazione con i quattro punti cardinali, attraverso importanti valichi.
Che il Passo delle Lame fosse frequentato lo constatiamo da denuncia rilevata dallo scrivente all'Archivio di Stato di Genova,Rota Criminale, filza 1226.
+ 1584 in venardì alli 10 de agosto
allo doppo disnaro
Bernardino Bachioco del q[uondam] Francesco
della villa de Pagi capella de Carasco,
Constituito dinanzi lo molto Mag[nifi]co
Sig[n]or Dominico Centurione Cap[itane]o di
Chiavari /
Denontia qualmenti il giorno
del ieri nel levar[e] del sole-
essendo detto constituto in un
loco ditto Le Lame Iurisdi[tio]ne
del Ser[enissi]mo Senato / li sono aparsi
dinanzi da me dui homini uno -
quale era tutto vestito de
biancho / et l'altro tutto -
vestito de turchino / lo di -
turchino di min[or] statura -
in chiotta q[u]ale andava un poco
chinato / co[n] la barba raza di
in lo rozegno (rossiccio) / et lo vestito de
bianco di statura grande
con barba quasi rosegna
et di vita grossa/ e li dissero
trovame scuti (scudi) 100. et dicendoli
Io che havea incarecato a trovar[e]
Den[ar]i / lui mi cercò adosso è -
me trovò L[ibre] 15 di moneta di -
Gen[ov]a. e me le pigliorno, e, poi -
me detero de molti colpi dicendomi -
se non le trova £. 15 giusto te dago
una archibugiata / et non li ho -
mai più veduti /
In nomine(?) Thomaxini Cafferrata del
Nicolao de Pagli / et Aug[ustin]o
Fontana della Serixola (Cerisola di Magnasco) del q[uondam]
Giacobino /
Altresì nel processo del 1584 al bandito Nicolò Cella, condotto nel castello di Santo Stefano d'Aveto, probabilmente, nella Stanza ove si da la corda in secreto, nel sottotetto del piccolo baluardo posto verso il Rio Molini, ad un certo punto, si evince: " [...] e si partimo poi et andamo in la Valle de Verzi facendo la strada di Satta e per li monti delle Lame...".
Cfr. SANDRO SBARBARO, Storie di banniti et mercadanti tra le Valli dell'Aveto, della Trebbia e del Taro, in La montagna tosco-ligure-emiliana e le vie di commercio e pellegrinaggio: Borgo Val di Taro e i Fieschi, Atti del convegno (Borgo Val di Taro, 6 giugno 1998), a cura di DANIELE CALCAGNO, Borgo Val di Taro 2002, pag. 459
Cima della Garba è il monte Garba (metri 1326) che appare come un "modesto rilievo, boscoso e poco inclinato" (Cfr.: F. Tuvo, Itinerari dell'Appennino Ligure - Zona 5 - Valli Aveto, Fontanabuona, Sturla, Trebbia, Chiavari 1981, pag. 187).
Il toponimo Garba potrebbe derivare dal termine germanico garvjan (acconciare, piacere, riuscir gradito) e starebbe quindi ad indicare un luogo piacevole (Cfr.: Vocabolario Zingarelli, Milano 1965, pag. 612).
N.B.
L'autore sarà grato a tutti coloro che, gentilmente, vorranno segnalargli (via e-mail) errori o omissioni.
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Pagina pubblicata il 5 settembre 2004
(ultima modifica: 08.09.2006), letta 23687 volte dal 23 gennaio 2006
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