Valdaveto.net > Usi, costumi, tradizioni, racconti e leggende > A lèsa - La slitta
di Sandro Sbarbaro
racconto tratto dal libretto Racconti d'inverno
disegni di Giovanni Ferrero e Guido Ferretti
Al paese di Sbarbari, intorno al 1960, i ragazzi più fortunati
possedevano una "lèsa", una slitta.
Era la riproduzione in scala delle "lèse" usate dai grandi, un tempo, per andare a caricare la legna all'inizio dell'inverno in appezzamenti di terreno distanti dal paese.
Slitta adatta al trasporto della legna, su piste innevate (disegno di Guido Ferretti)
Nei primi decenni del XX secolo la "lèsa" era tirata da buoi accoppiati, tramite "u zù" (il giogo),
all'asta che fuoriusciva; in realtà pochi paesani possedevano i buoi, così solitamente s'accoppiavano vacche
addestrate al tiro.
Presso i paesi della vallata v'erano strade più larghe del consueto (questo strade si rilevano già in documenti della fine del 1600 del notaro
Nicolò Repetto) proprio per consentire il passaggio dei buoi accoppiati: erano dette "e strè di bö", le strade dei buoi.
A quell'epoca i ragazzi si divertivano tirandosi dietro la "lèsa" sui "rissö" (i ciottolati) del paese.
Avevano una piccola cordicella pendente dalla slitta con un legno
sagomato a gancio che serviva per fissare il carico. I carichi, sull'esempio di quelli dei grandi, consistevano in "batòlli" (rami secchi spezzettati) oppure erano di "buscàggie" (cime di rami secchi spezzettate).
Le "lèse" venivano usate anche per scivolare sui pendii
quando questi s'imbiancavano di neve.
Si racconta che intorno al 1930 due ragazzi assai
intraprendenti, Italo e Antonio, fossero soliti recarsi oltre l'Aveto, in località "in tu pùzzu", con la slitta fabbricata da Italo, provetto falegname.
Vi si recavano di notte, al chiaror della luna, in modo tale che la neve, gelata, fosse più compatta e la pista ricavata sul pendio
nevoso acquisisse maggiore scivolosità.
Era assai faticoso procedere lungo l'erto pendio trascinandosi dietro
la "lèsa". L'ebbrezza provocata dalle discese a
perdifiato lungo l'improvvisata pista, ricompensava però la grande fatica.
Il problema era che il ripido pendio immetteva in un piccolo pianoro oltre il quale scorreva, sotto una lastra di ghiaccio, l'Aveto.
Occorreva quindi frenare piantando al momento opportuno gli scarponi
rinforzati dalle "burchètte" (i chiodi
antisdrucciolo) nella neve ghiacciata.
La manovra provocava un turbinio di
cristalli d'argento... ed improvvisi sbalzi di traiettoria.
Occorreva provvedere ricorrendo all'ingegno.
Italo pensò di munire la slitta di un freno.
Inventò una leva di legno che, posta su un lato, tirata al
momento opportuno avrebbe dovuto, in teoria, rallentare la corsa.
Attesa una notte di luna piena, i ragazzi tornarono con il mezzo così
modificato nel "Pùzzu" eletto a campo di gara e salirono l'erta in preda all'eccitazione.
Giunti nel punto stabilito, montarono a cavalcioni della "lèsa"
ed iniziarono la discesa a rotta di collo.
...ed iniziarono la discesa a rotta di collo (disegno di Giovanni Ferrero)
Frena! Frena! gridò Antonio ad Italo.
Italo afferrò il legno sagomato e lo tirò con tutta la forza
che aveva ma, a causa della velocità, il legno prima s'impuntò
nella neve ghiacciata, quindi fece perno sbalzando i due malcapitati
lungo il percorso.
L'esperimento era fallito.
Ora, infreddoliti e pesti, i due eroi guardavano sconsolati il loro prototipo...
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Pagina pubblicata il 13 dicembre 2005
(ultima modifica: 05.07.2014), letta 9393 volte dal 23 gennaio 2006
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