La scoperta di La Villa

di Cristoforo Campomenosi
articolo scritto, indicativamente, intorno all'anno 1998

La scienza viene da La Villa: questo si afferma, con malcelata ironia, in quel di Santo Stefano. Quelli del Capoluogo - è noto - hanno una certa forma di complesso di superiorità nei confronti degli abitanti delle frazioni, tant'è vero che spesso, pur essendo costretti a riconoscerne le qualità, tendono a farlo sempre dall'alto, con giudizi che presuppongono comunque una specie sudditanza dei "campagnoli" nei confronti degli abitanti del centro.

C'è da riconoscere invece che l'abitante tipico di Santo Stefano, nonostante il contatto con un più o meno fortunato sviluppo turistico, potrebbe a buona ragione essere chiamato "homo rusticus" (e di questa sua rozzezza in fondo si compiace), mentre il vero "homo sapiens" vive proprio nelle frazioni.

Ma è un discorso che ci porterebbe troppo lontano, mentre in questo momento vogliamo solo parlare della Festa della Trebbiatura, che si è svolta l'estate scorsa per la seconda volta nel paese di La Villa. Il villaggio è adagiato in pieno sole sul declivio che dai boschi e pascoli delle nostre montagne più alte scende dolcemente verso il rio Gramizza.

Il momento della trebbiatura, che si svolge la sera, è solo il culmine di una giornata in cui l'ospite è invitato a percorrere un itinerario in mezzo al dedalo di stradine e vicoli che attraversano il paese. Qui sono mostrate, una alla volta, le occupazioni più o meno antiche praticate dagli abitanti del luogo. L'itinerario è guidato e segnato da una numerazione progressiva che ti porta da un punto all'altro dell'abitato per osservare le varie attività.

Si comincia con l'apicoltura, qui praticata per antica tradizione, ormai esercitata con tecniche moderne dai fratelli Monteverde, che mostrano il loro laboratorio di smelatura e confezionatura. L'allevamento delle api non è un lavoro facile: tentato da molti con scarsi risultati, richiede applicazione, costanza, dedizione, amore e anche un po' di quella scienza di cui si parlava all'inizio.

Dopo il laboratorio, tra scalette, stradine e stretti sentieri, si scende in un prato, dove è stata allestita una carbonaia in miniatura costruita ad opera di Aldo Fugazzi e dell'eclettico artigiano Mazza Antonio (personaggio di cui parleremo più avanti). Il piccolo cumulo è stato scoperchiato e si vede un mucchio di legname affumicato. E il carbone dov'è? Ignorante che non sei altro, quella non è legna affumicata ma carbone vero, leggerissimo, schioccante, suonante. Basta prenderlo in mano, sentire come si spezza al minimo sforzo e osservarlo bene: nero intorno, nero in mezzo, nero nei suoi bei cerchi concentrici che segnano gli anni.

Fare il carbone non è facile. Dalle nostre parti prima della guerra veniva prodotto soprattutto da povera gente emigrata da quello che adesso è il ricco nord-est dell'Italia (il mondo gira...). Ma come viene prodotto? Si costruisce una grande catasta circolare di legna, lasciando in mezzo ad essa una specie di cunicolo dove si immetterà il fuoco. Questo scalda la legna, la secca, la carbonizza, ma essa non si accende, perché tutta la costruzione è ricoperta da uno strato di zolle, che le impediscono di prendere ossigeno: il legname viene solo carbonizzato dal fuoco centrale. Se la legna accatastata si incendiasse (cosa possibile in caso di disattenzione) non ne ricaveremmo una catasta di carbone, ma un bel mucchio di cenere.

Il percorso procede passando dagli attrezzi contadini alla fucina del fabbro, alla lavorazione dei vimini, al taglio delle assi da un tronco d'albero, alla materassaia, ai giochi di una volta come la lippa, la trottola e altri divertimenti dei bambini d'altri tempi.

Si incontra l'impagliatore di sedie Paolo Fugazzi, depositario di un'arte ormai quasi scomparsa, ma che i più vecchi ricordano benissimo: un tempo nei paesi di tanto in tanto si faceva vivo un personaggio, che come per magia in brevissimo tempo con pochi attrezzi ti faceva saltar fuori una sedia da un ciocco di ciliegio.

Ma il Paolino sa fare un mucchio d'altri mestieri tra i cui anche l'orologiaio e il ...chirurgo. Un giorno sta tranquillamente aggiustando una sveglia sulla sua aia, quando una rotellina gli cade a terra. Non fa a tempo a raccoglierla che una gallina gliela becca da sotto il naso e se la manda nel gozzo. Il pennuto la digerirebbe senza problemi, ma come recuperare il pezzo per l'orologio? Paolino non si perde d'animo: si fornisce di ferri affilati, li pulisce e li disinfetta, poi afferra il volatile, lo immobilizza su un tavolaccio e lo "opera" all'istante, recuperando così la rotella finita nelle viscere. Poi termina di riparare la sveglia. E la "paziente"? Disinfettata, ricucita, fasciata, superato il comprensibile trauma, dopo pochi giorni fa di nuovo il suo ovetto.

Comunque se l'ingranaggio fosse andato perso per l'impossibilità dell'intervento chirurgico, Paolino avrebbe senz'altro potuto contare sull'opera del già menzionato Mazza Antonio, capace di costruire, fondere, saldare, tornire qualsiasi pezzo per ogni uso. Noto come "Vaselina", potrebbe essere chiamato anche "Leonardo" o "Archimede Pitagorico". Di professione idraulico (ora in pensione), si intende di metallurgia, meccanica, di termodinamica, elettronica, forse anche di informatica. Non si sa se ci abbia mai provato, ma sarebbe certamente capace di realizzare un pezzo di televisore o un forse anche un microchip per computer. Per la sua Topolino Giardinetta non è mai ricorso a pezzi di ricambio se non a quelli la lui stesso costruiti o adattati.

Lasciando perdere i personaggi e proseguendo per la visita ci si imbatte nella scena della misurazione del latte. In Val d'Aveto, com'è noto, il formaggio viene fatto in grosse forme da circa 10-12 chili. Ne esce un prodotto gustoso e inimitabile, noto sotto il nome di formaggio di Santo Stefano. Per forme di tali dimensioni occorrono oltre cento litri di latte, quantità normalmente superiore alla produzione giornaliera di una piccola stalla. E allora che si fa? Si procede allo scambio del prodotto della mungitura: oggi si porta tutto ad una famiglia, domani all'altra, eccetera. Ma come viene tenuto il conto? Senza nessuna scrittura, ma solo con una contabilità particolare basata su bastoncini: ogni famiglia ha il suo pezzo di legno, su cui vengono incise tacche che indicano il debito e il credito. La cosa è di un'estrema semplicità per chi la pratica da sempre, ma per un estraneo è una specie di rompicapo. In un prossimo numero proveremo a spiegarvi, sempre che nel frattempo siamo riusciti a capirlo, il meccanismo preciso di questa contabilità.

Più avanti si trova la bottega del falegname, la battitura del grano, l'essiccatoio delle castagne, la tosatura della pecora, la produzione del pane, la cottura della polenta, la fabbricazione della birra (sul serio!), la costruzione di un rastrello, e molte altre cose belle e antiche che un paese vero sa ancora realizzare. Alla base di tutto questo si intuisce un intenso amore per la propria terra e un profondo orgoglio per le usanze e tradizioni tramandate dagli avi.

Ma la cosa più straordinaria di questa località non è tutto quanto abbiamo menzionato. Molte di queste cose (magari in versione leggermente diversa) si potrebbero vedere anche in altri luoghi.

La cosa più incredibile, unica, originale e sorprendente è il paese stesso. Se vi capita di passarci (dico anche a quelli di Santo Stefano), non fermatevi solo all'osteria di Pietro. Lasciate la macchina sulla statale e salite a piedi per le viuzze, le case, gli orti, i giardini che formano l'abitato: in questo intrico di stradine, scale, cortili, terrazzi, tutto è tal talmente così preciso, lindo, pulito, ordinato, che vi viene voglia di allungare la mano per sentire se ciò che vedete è concretamente vero. Ebbene sì, il paese è favolosamente reale: da vedere, da visitare, da gustare. Con calma, attenzione e rispetto.

Qui non c'è posto per turisti fracassoni, per comitive mordi-e-fuggi, ma per persone che abbiano la voglia e il gusto di apprezzare il ritmo sereno e l'armoniosa tranquillità di questo piccolo mondo.

Sopra la fontana c'è una lapide in marmo che riporta una scritta (in italiano, ma risalente allo scrittore latino Svetonio), che forse andrebbe ben meditata anche dagli abitanti di qualche paese più "in alto":

Con la concordia prosperano anche le piccole cose: con la discordia vanno in rovina anche le grandi opere.

C'è racchiusa tutta la filosofia di questo piccolo borgo, che non è un villaggio turistico, non è una Grazzano Visconti costruita apposta per attirare i pullman domenicali, ma è un paese vero, vivo, autentico, con gente antica e moderna, con radici secolari da cui crescono ancor oggi frutti saporiti e freschi.

 




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Montesanto  
 
categoria: 1 stella
indirizzo: località La Villa 67, Santo Stefano d'Aveto (GE)
telefono: (+39) 0185 899262

 

 


 

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Pagina pubblicata il giorno 11 dicembre 2006 (ultima modifica: 26.04.2007), letta 6057 volte
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