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Banditi, mulattieri e archibuggiate nell'anno 1685

Trascrizione di un documento tratto dalle filze criminali del Castello di Torriglia

di Sandro Sbarbaro

I "carbunin", ossia gli stagionali fabbricanti di carbone, vivevano in baracche di legno con i tetti tamponati da foglie, argilla e zolle di terra. Le zolle, quando pioveva, venivano ben schiacciate per evitare che l'acqua penetrasse.
Infine, i carbunin più benestanti, usarono qual isolante la carta catramata stesa sui tetti.
Le ultime baracche vennero costruite a legni incrociati, sul tipo di quelle dei pionieri Americani.
I carbunin dormivano su strati di muschio o foglie, oppure sulla paglia.
I Toscani erano i più onesti, ovvero non bagnavano il carbone per farlo pesare di più, quindi si potevano mandare a fare la stagione vicino a dei corsi d'acqua tranquillamente.
Le loro donne erano delle abili "segantine" e tutto il giorno maneggiavano il "serrone" per segare gli alberi.
I Veneti, benché si recassero spesso a messa e non bestemmiassero come i toschi, al contrario erano "ladri" e rubavano sul peso bagnando il carbone.
I Bergamaschi ed i Bresciani erano i più "sporchi".
Andare nelle loro baracche significava caricarsi di "prùsce", ovvero pulci, e "lèndene", ovvero pidocchi.
Se facevano il carbone in punti ventilati i poveri carbunin vedevano bruciare più di una carbonina, a causa della troppa ossigenazione.
Si racconta che una donna di un carbunin veneto venne a Casanova di Rovegno col marito ed i figli piccoli. I figli li lasciò all'ostessa (madre di Michele) fintanto che ella e suo marito avessero costruito la misera baracca nel bosco.
I bimbi piccoli ben presto come si dice in gergo "si sporcarono", ovvero si fecero la cacca addosso.
Nel fagotto, che la donna veneta aveva lasciato all'osteria, vi erano povere robe e neppure un "cambio" per i piccini.
L'ostessa si mise a tagliare dei panni per i bimbi, poi fece il giro delle case e tutti donarono qualche cosa per i piccoli carbunin.
Al ritorno la madre esclamò: "La Madonna mi ha concesso una grazia!"
Commossa volle ringraziare i paesani.
La stagione dei carbunin andava da maggio ad ottobre e il taglio del bosco era regolato da precise norme, che talvolta venivano disattese a seconda dell'onestà o della disperazione dei contraenti.

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Pagina pubblicata il 4 maggio 2005, letta 6169 volte dal 23 gennaio 2006
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1685, 25 maggio
Nel Castello di Torriglia alla presenza del Commissario Carlo Silva

 

"Essendo ieri sera stato assaltato sul Monte di Barbazelata in luogo detto Fò freddo Giurisdizione di Neirone Ambrosio Crovo Lorenzo della Villa di Montebruno con altri tre mulatieri in tempo che ritornassero (mentre ritornavano) dal Mercato di Molione (Monleone), dove erano andati a vendere il loro grano, dalli ladri; essendo detto Ambrosio armato di schioppo si pose su la difesa e seguirono (vennero sparate) tra lui, Giulio Barbero (Barbieri) Gio, et Andrea Garbarino appellato il Gattone di Costafinata (Costafinale) da una parte e detti ladri dall'altra, alcune archibuggiate, doppo che essendo arrivati in aiutto dei suddetti, Stefano Garbarino di Domenico, Nicola Garbarino d'Andrea, Agostino Crovo, fratto (fratello) di detto Ambrosio, e Stefano Barbero qm. Giulino ed altri, seguitarono (seguirono) detti ladri che si posero in fuga e li riuscì (si riuscì a) prenderne due in Val d'Aveto sopra la Casa de Sbarbori, Giurisdizione di S. Stefano, uno è Tognino Garaventa della Villa di Caorsi, condannato cinque giorni sono in questa Giurisdizione a cinque anni d'essilio (esilio) e l'altro è pure della villa di Caorsi".



 

Stefano Garbarino del Ravinello stava lavorando a fare "delli ronchi nel Ravinello" quando venne chiamato dal Crovo e dal Barbero per andare a fermare i ladri; prese lo schioppo e, con il cugino Nicola Garbarino d'Andrea, li seguì su verso il monte; quando furono sulla Piana delle Portigliole (giurisdizione di Neirone) incontrarono Benedettino Fossa (figlio di Michele della Scoffera), solo ed armato di schioppo...

 



"e sentij che chiamava i cani, avvicinandosi al posto si divisemo (dividemmo) in due squadre, io e Nicola per la costa, Benedetto, Crovo e Barbero per la strada e si congiungemmo dove erano state sparate quattro o cinque archibugiate, si trovassimo (ci trovammo) incirca dai Mulattieri, cioè Ambrosio Crovo di Giò, Gio Barbero figlio di Gio, Giulio Barbero ed Andrea Garbarino appellato il Gattone di Costafinata, che s'erano tirati (sparati) con li ladri è vero che quando arrivai i ladri non c'erano più.

Fu ferito qualchuno??

Restò ferito il sudetto Benedetino Fossa che arrivò con i compagni sudetti, ma i mulatieri dubitando che fossero anche loro ladri, sparorno (spararono) anche contro di loro, (fu ferito da una palla nella gola e due nella gamba).

Ci fermammo ivi un pezzetto, supponendo che i ladri fossero fuggiti, ma poi fatte parole fra noi, calassimo (calammo) per il fossato dove viddi il cane di Benedettino, dove potevamo dubitare fossero andati i ladri i quali però io non potei mai vedere, sentivo bensì che i compagni dicevano sono qui, sono là, sentendo di quanto in quanto tirare qualche archibuggiata, in questa maniera li seguitamo (seguimmo) giù fino in Val d'Aveto, Dominio di S. E. sopra la Casa de Sbarbori, dove furono fermati due e gli altri fugirono a la macchia".



 

Altra testimonianza di Nicola Garbarino.

 



"Dato di mano alle nostre armi s'incaminassimo (c'incamminammo) verso detto Monte di Barbazelata, quando avessimo passato (passammo) il posto della Casa bruggiata [2], trovassimo due spalaroli (portatori di carichi) genovesi e da questi prendessimo lingua (ci informammo), e ci dissero che c'erano i ladri in due squadre una cioè dalle Portigliole e l'altra a Fò freddo e poi seguendo il viaggio verso le Portigliole vi trovassimo Benedetto Fossa della Scoffera, figlio del figlio del Minuto che chiamava i cani da caccia [3], quando s'incontrassimo (c'incontrammo) disse anche lui che v'erano i ladri e che dovessimo haversi l'occhio (stessimo all'occhio) perché era pericoloso, soggiungendo che egli era con altri sei o sette compagni, i quali viddi ma non conobbi, Gappea di Roccatagliata, e un altro di Rozzi (Rossi) che non conosco, giunti che fossimo alle strade borche (strade che si biforcano, località presso Barbagelata), vi trovassimo Agostino Moglie (Moglia), Pasquino Barbero (Barbieri) di Montebruno, un tal Perinello di Mencaldo et altri mulatieri Piacentini...

Non so fossero quattro o cinque (i banditi) se bene Perino d'Otone in detta sera mi disse ch'erano cinque
[...] dicessimo (chiedemmo) ad un pastore qual'io non conobbi se gli aveva veduti e ci rispose di si che andavano verso Val d'Aveto e noialtri tralasciando di ricercare più minutamente fra li costi (arbusti) s'avanzassimo in quella volta (avanzammo da quella parte) sparando delle archibuggiate
[...] giunti li ladri sopra la casa degli Sbarbori, Dominio di S. E. Prencipe Doria nostro P[atro]ne, furono fermati dalli huomini di detta villa [4] .
Arrivati noi facemmo istanza che li custodissero bene e che li consegnassero alla giustizia, come credo l'haveranno fatto, perché subito li disarmarono.
Hebbero sempre buone parole [i banditi], e ci pregavano di lasciarli andare perché loro erano a fare serviggio e non c'entravano niente e parole simili.

Si che conobbi che erano due di detti quattro ladri che assaltarono i mulatieri in detto luogo di Fò freddo, e io viddi che il più grasso di loro sparò un'archibuggiata a detto Andrea Garbarino".



 

La denuncia di Ambrosio Crovo.

 



"[...] fui assaltato da quattro ladri, tre de quali erano momati (mascherati), et uno con la faccia aperta (scoperta), tinta però di negro, come di carbone, che fu anche il primo che m'assalì e doppo avermi più volte detto con il schioppo a cane calato, tanto lui come gli altri che mi avevano preso in mezzo, che mi fermassi e che rimettessi (riponessi) lo schioppo di cui ero armato per volermi rubbare, non volendo io rimetterlo, stando anzi sempre provisto (all'erta) per difendermi, e vedendo che sempre più mi incalzavano la vita, fui forzato (fuggii) perché non m'afferrassero, e non m'impedissero d'avvalermi dello schioppo, nel medesimo tempo, spararono detti ladri tre archibuggiate contro di me dalle quali non restai con l'agiutto di Dio offeso, benché mi trovassi gran paura et avendo sentito dire che costoro cioè detti ladri siano della Villa di Caorsi e che anzi fossero cinque bench'io non ne vedessi che quattro, due dei quali sono di presente priggioni (prigionieri) nel castello di S. Stefano d'Aveto, faccio instanza che sii contro di loro proceduto".
[...] Mulatieri: Perrino Castelli di Otone, Gioacchino Barchi il Boellino di Ottone, Bartolomeo di Traschio di cui non so il cognome, Petrino Mulione di Villa Lenzino, e molt'altri mulattieri forastieri..."



 

Gioacchino Barchi dice: "Andai quel giorno al mercato di Molione con le mie mule cariche di grano, lo vendetti al Ponte di Cicagna e lo stesso giorno me ne tornai a casa".

 

 

Note

[1] Occorre ricordare che sotto i Doria venne organizzata una milizia. I paesi facenti parte di uno dei quattro quartieri in cui era suddiviso lo Stato, ovvero il Marchesato di Santo Stefano d'Aveto, esprimevano i caporali, il sergente, il capitano ed un alfiere. Costoro comandavano la milizia formata dai giovani dei vari Quartieri.
Il Capitano, a fine '600, in genere era espresso da un membro dei nobili Della Cella di Rezzoaglio. Nel 1690 il Capitano era Carlo Geronimo Cella del fu Signor Tomaso di Rezzoaglio. Il quarto quartiere ossia quello composto dalle ville sopra il Masapello, che comprendeva le Parrocchie di Cabanne e Priosa, esprimeva il Sergente e a volte l'alfiere, attraverso il ramo non nobile dei Cella di Cabanne, e i caporali.
In quegli anni il Sergente era Guerra Cella, del fu Guerra, di Cabanne.
Nel '700 diventerà capitano il nobile Paolo della Cella, fu Notaio Antonio Maria, di Cabanne.
Da documenti del Notaro Nicolò Repetto fu Andrea abbiamo rilevato che nel 1691 fu Caporale del quarto Quartiere Alessandro Sbarbaro fu Stefano di Villa Sbarbari, morto a 60 anni nel 1698.
Fu Caporale pure Bartolomeo Biggio fu Giacomo di Cardenosa, nato nel 1638 e morto nel 1694, ed anche suo figlio Domenico Biggio eletto Caporale nel 1705.
Il Marchesato di Santo Stefano all'epoca si reggeva su un sistema che, dati i tempi, chiameremmo democratico. Il marchesato era suddiviso in quattro quartieri, in modo che fossero rappresentate le esigenze dei valligiani per aggregazione di esperienze similari.
V'erano i quartieri del Nord della Valle, del Centro e del Sud. Tal sistema si chiamerebbe oggidì devolution.
I quattro quartieri avevano un Deputato che li rappresentava e aveva una funzione simile, schematizzando alquanto, all'attuale Segretario Comunale. Nel 1692, per il secondo Quartiere, venne eletto deputato il Notaro Nicolò Repetto fu Andrea di Calzagatta. Ogni quartiere aveva i suoi reggenti, equiparabili agli attuali consiglieri comunali. Per le ville poste sopra il Masappello, ovvero in rappresentanza del quarto Quartiere nel 1692 sono reggenti Tomaso (Mascino) Ferretti di Brugnoni e Gio Biggio fu Giacomo di Cardenosa, Lazaro Cella e Domenico Cella. Questi ultimi del comprensorio di Cabanne-Parazzuolo.

[2] La Casa bruggiata di cui parla non è quella assai famosa presso il Rio dei Colleretti e il Fossato d'Acquapendente, posta in Val d'Aveto, citata e riprodotta da Matteo Vinzoni nel 1725.
Questa si trovava sull'attuale rettilineo che da Barbagelata conduce al passo della Larnaia (cfr.: Andrea M. Cavagnaro, Barbagelata il tetto della Liguria. Il racconto appassionato e lucido della civiltà contadina dei nostri monti, Il Golfo, Genova 2005, pag. 102)

[3] Pare strano ma anche allora s'andava a caccia. Ovviamente coloro che vi andavano facevano parte di una elite autorizzata dal feudatario del luogo (vedi il caso dei Guano di Torriglia) oppure erano bracconieri.
Cfr. Mauro Casale, La Magnifica Comunità di Torriglia & C., Genova 1985, pag. 122:

F.C.C. 1621 - Caccia alli uccelli con li cappelletti di verghe di nocciole
Novembre 1656 - "...Hieri mattina Vincenzo Guano e Bartolomeo ambidue armati di archibugio si passassimo di qui per andare a caccia di lepri con due cani bracchi e gionti presso la Costa di Trebiola..."
F.C.C. 3/5/1678 - "il Capitano Vittorio Guano levatosi alle sei hore per andare a caccia alli uccelli"

[4] All'epoca a Villa Casa degli Sbarbori, come si chiamava allora l'attuale paese di Sbarbari in Val d'Aveto vi erano all'incirca i seguenti uomini validi:

Bartolomeo Sbarbaro fu Vincenzo, nato nel 1642 morrà nel 1694, e suo fratello Mastro Stefano Sbarbaro fu Vincenzo, che morrà nel 1709;
Giuliano Sbarbaro fu Lazarino, che morrà nel 1719, e suo fratello Bernardo fu Lazarino, detto Mastro Bernardino, che si sposerà nel 1691 con Benedetta Sbarboro di Bartolomeo fu Vincenzo;
il vecchio Nicolino Sbarbaro fu Giò, nato nel 1618 morra nel 1694, e suo fratello Gio Maria fu Giò, che nato nel 1624 morrà nel 1698;
Gio Maria Sbarboro fu Antonio, nato nel 1629 morrà nel 1699, suo fratello G. B. Sbarboro fu Antonio, nato nel 1635 morrà nel 1695 e l'altro fratello Alessandro Sbarbaro fu Antonio nato nel 1639 morrà nel 1699; l'altro fratello, Stefano Sbarboro fu Antonio, nel 1686 si trova emigrato a Talioli Status Mediolani, ma è probabile che lo fosse da prima;
Alessandro Sbarbaro fu Stefano nato nel 1638 morrà nel 1698;
Agostino Sbarboro fu G. B. e suo fratello Michele Sbarbaro fu G. B. probabilmente vivevano già a Genova dove Agostino risiedeva dal 1680.

 


 

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Pagina pubblicata il 19 marzo 2007, letta 8727 volte
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