Storie di ordinaria integrazione

di Massimo Brizzolara

Un amico magnaschese, giovane ed intelligente, mi ha recentemente scritto: "Ci sono giorni che il nostro paese mi piace davvero e altri in cui lo rifiuto quasi. Non tanto Magnasco in particolare, quanto tutta la valle. Da una parte il senso della comunità, l'onestà di fondo delle persone e dall'altra essere restii al al nuovo, l'essere chiusi e a volte, poco costruttivi."
Analisi lucida ed apparentemente inconfutabile. Ma che forse non tiene conto di alcune sfumature che, come i colori autunnali dei nostri boschi, vanno colte in silenzio e con molta voglia di liberarsi delle nostre verità, per predisporsi a capire, meditare, conoscere.
Ve ne racconto una.

Il secolare isolamento viario della Val d'Aveto venne superato con la costruzione della cosiddetta "camionale" che da Borzonasca conduce a S. Stefano.
L'opera, molto impegnativa per quei tempi, venne realizzata a tratte e richiese molti anni.
Precisamente per completare i vari lotti, occorse quasi un secolo (1851-1936).
Ma la nostra storia si colloca cronologicamente dal 1930 al 1936 allorquando venne collegato Rezzoaglio a S. Stefano.
L'opera venne divisa in due tratte (Rezzoaglio - Villanoce e Villanoce - S. Stefano) e vennero impiegate contemporaneamente due imprese, rispettivamente la Ido Gazzano di Chiavari e la Custo di Genova.
Erano cantieri tecnologicamente poco evoluti, ma che supplivano a questa carenza con un massiccio ricorso alla forza lavoro di una manovalanza endemica.
Quasi tutti questi operai erano veneti. Avevano lasciato la loro terra , portandosi dietro quello che possedevano: una grande operosità, encomiabile spirito di sacrificio e un cuore buono e semplice.
Era una Italia molto diversa dall'attuale e alla diffusa povertà, lo Stato cercava di supplire finanziando le necessarie infrastrutture, allo scopo di creare occasioni di lavoro.
A questo periodo risalgono anche le piantumazioni delle abetaie, nella foresta delle Lame. Ma la richiesta di lavoro era tale che tutto questo non bastava.
E questi poveri operai erano costretti a vagare per mesi alla ricerca di un cantiere, portandosi dietro i pochissimi effetti personali.
Mi è stato raccontato che l'impresario Gazzano aveva posto il suo quartier generale in una casa del mio paese, Magnasco. Al mattino quando usciva trovava seduti sulla panche della piazzetta, decine di operai, in attesa. Mi piace pensare che li avrebbe presi tutti, ma oggettivamente non poteva. E mentre per quei pochi prescelti finiva un incubo, per gli altri tra una imprecazione e un Segno della Croce non restava che rimettersi in viaggio.
Nei sei anni di lavori necessari, centinaia di operai hanno convissuto, senza creare alcun problema, con gli avetani.
Non solo, ma alcuni hanno deciso di fermarsi definitivamente nella nostra valle. A Magnasco per esempio i sigg. Trentin e Arboit. A Rezzoaglio la famiglia Dal Farra.
La loro integrazione nel tessuto sociale avetano è stata totale. Se non fosse stato per l'inconfondibile accento idiomatico (che non hanno mai perso) nessuno avrebbe potuto indicarli come "foresti".
La loro onesta laboriosità, lo stesso modo d'intendere la vita, la stessa religiosità, hanno creato le condizioni per cui una valle storicamente chiusa e sospettosa, li ha accolti e fatti propri.
Per non parlare dei loro discendenti, se non fosse per il cognome, che orgogliosamente portano, nessuno potrebbe risalire alla loro origine.

Ecco allora, che questa esperienza (peraltro non unica in valle) estremamente positiva, può fornire un importante contributo, ad un tema attuale come l'integrazione sociale.
Sempre che si riesca ad interpretarla con raziocinio e senza ideologismi preconfezionati.
E sarebbe oltremodo interessante sapere che cosa avranno raccontato i tanti che, finito il cantiere, hanno fatto ritorno a casa o chissà dove.
Forse avranno parlato di memorabili bevute e pantagrueliche mangiate, in una valle popolata da gente godereccia, ospitale e festaiola.
E d'altronde qual'è l'emigrante, che al ritorno non intramezza i suoi racconti, con qualche innocente bugia?
Ecco vorrei poter parlare con i loro nipoti per dirgli: "Venite che vi racconto la Val d'Aveto dei vostri nonni..."

 


 

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Pagina pubblicata il 10 novembre 2007 (ultima modifica: 11.11.2007), letta 4924 volte
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