Valdaveto.net > Articoli e ricerche di carattere storico > Parrocchie e chiese di Val Graveglia tra Cinquecento e Settecento
di Mario Chiappe
articolo in corso di pubblicazione sul n° 5 della rivista "I quaderni di Ivo", edita a cura del Gruppo Ricerche Civiltà Ligure Yvon Palazzolo – Chiavari
Il Cinquecento in Liguria è un secolo caratterizzato, almeno fino al 1575, da contrasti politici, eredi delle lotte di fazione dei due secoli precedenti, che da Genova coinvolgono anche gli ambiti rurali del Dominio, segnati dalle ricorrenti carestie e dalle pestilenze che hanno lasciato traccia nella dedicazione di oratori e cappelle a Santi invocati contro il morbo, come San Sebastiano e San Rocco. Dal punto di vista religioso sotto molti aspetti il XVI secolo nella nostra regione non presenta vistosi elementi di novità, almeno fino alla svolta rappresentata dal Concilio di Trento.
Il secolo si apre con un intervento di riassetto delle circoscrizioni diocesane che interessa il territorio di cui ci stiamo occupando e che, indirettamente, può essere letto come un indizio del perdurare di una certa vitalità, nella nostra regione, dell'organizzazione ecclesiastica del territorio rurale, basata sulla pieve 2 . Fin dal Medioevo, le chiese della val Graveglia appartenevano alla diocesi di Genova e dipendevano quasi tutte dalla pieve di Lavagna; alla pieve di Sestri Levante appartenevano invece tre parrocchie ubicate nella parte terminale della valle: Santa Maria di Nascio, San Bartolomeo di Statale e San Lorenzo di Arzeno 3 . Nel 1519 la pieve di Sestri Levante passò alla diocesi di Brugnato in cambio di quella di Castiglione Chiavarese e le tre chiese di val Graveglia che ne facevano parte subìrono la stessa sorte. Nel 1594 anche la chiesa di Sant'Apollinare di Reppia, dipendente in origine dalla pieve di Lavagna, passò da Genova a Brugnato. Il territorio della valle si trovò così suddiviso fra due diocesi diverse; tale situazione durò per oltre quattro secoli, fino al 1959, quando le parrocchie del Sestrese furono riunite alla diocesi di Chiavari, sorta nel 1892 4 .
Anche nel territorio rurale del Genovesato perdura la crisi delle istituzioni religiose, comune, del resto, a tutto il territorio italiano, sia pure con marcate differenze, iniziata nel XIV secolo con la cosiddetta "Crisi di metà Trecento" il cui effetto più vistoso, in ambito locale, è rappresentato dalla chiusura del cenobio di Borzone, nella vicina valle Sturla, verificatasi attorno alla fine del XV secolo 5 . Continua il fenomeno delle chiese date in "commenda", ossia affidate temporaneamente, come beneficio, a ecclesiastici che sovente non vi risiedono e ne affidano la cura a un chierico da essi stessi stipendiato 6 . Nel caso, assai frequente, di un accorpamento di più chiese, imposto da fattori demografici ed economici, i parroci sono costretti a servire un territorio spesso assai esteso, con conseguenze sul culto e sulla pastorale che è facile immaginare. Un esempio piuttosto significativo di questo triste stato di cose, segnalato dai fratelli Remondini, è rappresentato dall'unione di ben otto chiese della valle, verificatasi tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo. Nel 1479 il rettore di Zerli Bartolomeo de Cigariis de Garibaldocedeva in locazione per tre anni a prete Sebastiano de Garibaldo le chiese di San Pietro e di Santa Maria di Zerli con altre chiese annesse: San Martino (di Adreveno), San Michele (di Osti), Sant'Antonino (di Pontori), San Vincenzo (di Terisso) e San Biagio (di Montedonico) e cinque anni più tardi rinuciava ad alcune di esse a favore del medesimo. Nel 1498 il Vicario dell'Arcivescovo di Genova conferiva le chiese suddette, resesi vacanti per la morte di prete Sebastiano de Garibaldo,a prete Giovanni de Linali,rettore di Santa Giustina di Sambuceto 7 .
In questo contesto si trovarono ad operare i promotori della vasta opera di riforma scaturita dal Concilio di Trento (1545-1563). Nella diocesi di Brugnato, alla quale apparteneva una parte della val Graveglia, l'intervento delle autorità ecclesiastiche fu tempestivo ed efficace ed iniziò a produrre benefici effetti già prima dell'arrivo del visitatore apostolico mons. Francesco Bossi, vescovo di Novara, nel 1582. Della sua visita alla diocesi di Genova, effettuata in quello stesso anno, sono rimasti, presso l'Archivio di Stato della città, solamente i decreti, dai quali si possono trarre scarne informazioni sullo stato delle chiese rurali dell'epoca. Maggiori dettagli si possono ricavare da un'interessante relazione di una visita pastorale, compiuta tre anni prima dal vescovo di Brugnato Nicolò Mascardi. Formato, come il Bossi, alla rigida scuola milanese di San Carlo Borromeo, del quale aveva pure ricoperto l'incarico di vicario generale, questo prelato ricoprì anch'egli l'incarico di visitatore apostolico in alcune diocesi del Ponente ligure 8 .
Dagli atti delle visite dell'epoca emerge un generale stato di arretratezza delle chiese rurali rispetto a quelle della città e dei borghi rivieraschi, peraltro già noto agli studiosi. Si tratta, quasi sempre di edifici medievali, in molti casi fatiscenti, ad aula unica, spesso monoabsidata, coperti da soffitti a capriate lignee scoperte. Sovente erano dotati di un solo altare, (in Val Graveglia l'unica eccezione era rappresentata dalle chiese di Sant'Eufemiano di Graveglia e di Santa Maria di Ne, che ne possedevano due). Il pavimento raramente era lastricato di ardesia o in pietra locale, più spesso era coperto da uno strato di calce, almeno nel presbiterio, mentre nella navata, in qualche caso, risultava composto di semplice terra battuta. Anche la suppellettile degli altari era limitata all'essenziale; i paramenti e le suppellettili per il culto si conservano in un cassone, posto dietro l'altare, in mancanza di sacristia. Le chiese erano prive di casa canonica (una novità resa obbligatoria dal Concilio di Trento) ma erano dotate, in molti casi, di campanili a vela o di torri campanarie.
In condizioni ancora più desolanti si trovavano gli oratori delle Confraternite, eredi dei movimenti medievali dei Bianchi e dei Disciplinanti, che spesso non disponevano neppure di statuti scritti e di registri, a causa, forse, della scarsa alfabetizzazione.
La prima preoccupazione delle autorità, tenuto conto dei mezzi a disposizione, fu, pertanto, quella di rendere più decoroso il culto, assicurando alle chiese almeno lo stretto necessario ed eliminando le suppellettili non decorose. Si tentò pure di restaurare alla meglio le chiese, trasferendo talvolta, dov'era possibile, la sede parrocchiale in una chiesa succursale in migliori condizioni. L'obbligo di residenza dei parroci, imposto dal Concilio di Trento, prevedeva, inoltre la costruzione di una casa canonica, accanto alla chiesa parrocchiale; una disposizione che, per le difficoltà del momento, in molti casi venne attuata solo qualche decennio più tardi. Solo con il XVII secolo, come vedremo, si pose mano all'ampliamento e alla costruzione di nuovi edifici religiosi.
Il rinnovamento edilizio, scaturito dalla riforma liturgica tridentina, rappresentava un settore della riorganizzazione della pastorale, il cui fulcro era rappresentato dalla parrocchia; tale riorganizzazione comprendeva, fra l'altro, la riorganizzazione delle circoscrizioni parrocchiali, imposta, in alcuni casi, da una situazione demografica e insediativa ormai mutata rispetto al Basso Medioevo. In val Graveglia le tracce di interventi di questo genere sono più evidenti che in altre zone del Genovesato, come ebbero modo di osservare, già sul finire del XIX secolo, i fratelli Remondini 9 .
Un primo esempio, certo il più noto, è rappresentato dalla soppressione di quattro chiese medievali al servizio di insediamenti di altura sparsi sui versanti della valle laterale del torrente Garibaldo: San Biagio di Montedonico, San Michele di Osti, Sant'Antonino di Pòntori e San Vincenzo di Terisso. Da tempo esse risultavano affidate ad un unico parroco, che risiedeva nella parrocchia più vicina al fondovalle: quella di Montedonico. Nel corso della visita pastorale del 1603 l'arcivescovo di Genova Orazio Spinola ordinò la demolizione delle quattro cappelle e la costruzione di un'unica chiesa parrocchiale, situata in posizione centrale, sul fondovalle, dedicata ai Santi titolari delle antiche chiese. Sorse così l'attuale chiesa parrocchiale di San Biagio di Garibaldo, volgarmente denominata, per le sue origini relativamente recenti, Chiesanuova. Delle quattro cappelle medievali rimangono oggi solo i bei ruderi romanici di San Michele di Osti 10 . La chiesa di Pontori, riedificata nel 1680, come cappella, nella frazione del Prato e dedicata a N. S. del Carmine e a Sant'Antonio di Padova riacquistò l'autonomia solo nel 1775 11 .
La storiografia locale ha ravvisato nello spopolamento e nella conseguente diminuzione dei redditi delle parrocchie rurali, causati dalle ricorrenti pestilenze dell'epoca, le cause di accorpamenti del genere, imposti dall'alto in età post-tridentina. In realtà una delle cause della diminuzione dei redditi andrebbe, forse, ravvisata nel processo di privatizzazione dei beni comuni delle singole comunità, uno degli effetti più vistosi e meglio documentati dei quali è rappresentato appunto dall'usurpazione dei beni ecclesiastici da parte di privati, cui si tentò di porre un freno, con esiti non sempre soddisfacenti, a partire dal periodo successivo al Concilio di Trento 12 .
Un secondo intervento, analogo al precedente, viene attuato alcuni anni più tardi nella bassa val Graveglia, segno che il primo era stato pienamente recepito anche dalla popolazione locale. Questa volta l'iniziativa, almeno formalmente, non sembra partire dalle autorità ecclesiali, ma dagli stessi abitanti del luogo. Nel 1617 i parrocchiani delle due chiese di San Martino di Adreveno e di Santa Reparata di Tolceto, che sorgevano sulle alture degli opposti versanti della bassa val Graveglia, privi ormai da tempo di un parroco residente, a causa della mancanza di redditi, presentarono istanza all'Arcivescovo di Genova, affinché le due parrocchie venissero unite sotto la guida di un unico sacerdote. La richiesta venne accolta e fu disposta la costruzione di una nuova chiesa sul fondovalle, dedicata ai Santi titolari delle due antiche parrocchie. La nuova chiesa sorse nell'odierna frazione di Caminata ove risiedeva un notabile del luogo, certo Domenico Garibaldi, detto il Grosso, che rappresenta, probabilmente, l'ispiratore di tutta la vicenda 13 . Grazie alle elargizioni di costui e alle sovvenzioni della Curia genovese la costruzione, iniziata nel 1620, si concluse solo qualche anno più tardi. La famiglia del benefattore acquisì, in compenso, alcune prerogative nell'ambito della nuova parrocchia, ma non il diritto di patronato sulla chiesa stessa. Delle due chiese medievali, per le quali, a differenza delle chiese di Garibaldo, forse non venne emanato alcun ordine di demolizione, rimangono ancora alcuni avanzi. I bei ruderi in stile romanico di Santa Reparata, detta "la vecchia", sono situati in un bosco sul monte che sovrasta l'odierno abitato di Tolceto.
Nella frazione di Adreveno, situata sulle alture fra Caminata e Zerli, si possono invece ammirare i resti della chiesa medievale di San Martino, inglobati in una casa colonica. Alla chiesa di San Martino, nel 1617, risultavano unite pure le due chiese di Santa Maria e di San Pietro di Zerli. In quell'anno i massari inviarono un'istanza all'Arcivescovo di Genova affinché esse fossero separate dalla chiesa di San Martino de Garibaldo (ossia di Adreveno) e si potesse conservare il Santissimo Sacramento in quella di San Pietro, situata in luogo più comodo per la popolazione 14 . E' probabile quindi che la chiesa di San Pietro sorgesse sul sito in cui oggi si trova la parrocchiale di Zerli, dedicata allo stesso Santo e costruita nei primi decenni del XVII secolo, o nelle vicinanze, non lontano quindi dai ruderi della torre medievale del castello e dall'abitazione di un ramo della potente parentela locale dei Garibaldi, nota appunto come Casa rossa dei Garibaldi 15 . Anche in questo caso, dunque, è possibile ipotizzare un intervento indiretto di una famiglia egemone sul riassetto delle circoscrizioni parrocchiali, dettato, probabilmente, da motivazioni analoghe a quelle esposte a proposito della chiesa di Caminata.
E' probabile che, in quegli stessi anni, si sia verificato un terzo accorpamento, questa volta fra una chiesa della valle e una parrocchia del Sestrese. Perduta la cura d'anime agli inzi del Seicento, la chiesa dei Santi Giustina e Cipriano di Sambuceto fu aggregata alla parrocchia di San Giacomo di Loto, appartenente, in origine al piviere di Sestri Levante, ma rimasta soggetta alla diocesi di Genova anche dopo il 1519 16 .
Sull'identificazione dei luoghi in cui sorgevano le due antiche chiese di Zerli i pareri erano già discordi ai tempi dei fratelli Remondini. E' certo che le due chiese dovevano sorgere a una certa distanza l'una dall'altra, poiché nei catasti sei-settecenteschi la parrocchia di Zerli risulta suddivisa dal punto di vista amministrativo fiscale nei due quartieri di Santa Maria e di San Pietro. Se dunque, come pare probabile sulla scorta del documento del 1617, l'odierna parrocchiale dovrebbe sorgere all'incirca sul luogo in cui si trovava la chiesa di San Pietro, è da escludere che la chiesa di Santa Maria sorgesse al posto dell'odierna cappella del cimitero che le sta di fronte. La costruzione, simile per stile ad un edificio adibito ad uso analogo che si trova nella parrocchia di Statale, sembra opera della prima metà del XIX secolo, edificata, forse, sopra un basamento più antico, come alcuni sostengono, il quale, però, se faceva parte di una precedente chiesa, doveva appartenere a quella di San Pietro per le ragioni già esposte.
Per alcuni la chiesa di Santa Maria doveva essere situata nella frazione di Gòsita, sorge una cappella seicentesca appartenente alla famiglia D'amico, non lontano da una quercia secolare di notevoli dimensioni. Tale opinione potrebbe aver risentito delle indicazioni fornite da un parroco del luogo, riportate dal Tiscornia, il quale scrive che "l'antica chiesa di San Pietro era situata tra Santa Maria, che le stava a ponente, nel luogo che anche oggidì è detto dalla roveree Adreveno che le stava a ponente" 17 . Una nuova pista di ricerca può essere aperta da un'indicazione, contenuta in un atto notarile medievale. In una locazione di beni appartenenti alle chiese di Santa Maria e San Martino de Drevenoe situate in villa Drevenicompaiono fra le altre una terra denominata la Dota, nella quale sorge la chiesa di San Martino e un'altra terra denominata lo Calino, nella quale si trova la chiesa di Santa Maria 18 . Per risolvere il problema, in questo come in altri casi, bisognerebbe tener conto delle dinamiche insediative dell'epoca, certo mutate rispetto ai secoli centrali del Medioevo, e della fissazione dei confini delle circoscrizioni parrocchiali, a quell'epoca ancora in corso.
Un ultimo intervento, solo abbozzato e mai posto in atto, si verificò, poco dopo la metà del secolo, nella parte settentrionale della valle, appartenente alla diocesi di Brugnato. Le parrocchie di Sant'Apollinare e Santa Maria di Reppia e di San Lorenzo di Arzeno, benché soggette, come si è detto, a pievi diverse, furono unite più volte l'una all'altra a partire dal XIV secolo per vari motivi, non ultima la relativa vicinanza. All'indomani del Concilio di Trento, forse per effetto del riassetto pastorale-amministrativo che ne scaturì, risultavano, invece, autonome e dotate ciascuna di un proprio rettore. Nel giugno del 1576 i capifamiglia della parrocchia di Arzeno, vacante per la rinuncia del rettore Giovanni Maria Ravenna di Bassana di Pontremoli, domandarono al vescovo di Brugnato Antonio Pagliettini da Moneglia di destinare al suo posto il rettore della vicina parrocchia di Reppia, Lorenzo Riccetto, il quale, durante le assenze del loro parroco, aveva degnamente esercitato la mansione di "cappellano". Il Vescovo acconsentì, sanzionando, in tal modo, l'unione di fatto fra le due parrocchie, a quell'epoca, come si è detto, appartenenti a due diocesi diverse 19 . Anche in questo caso, come per le parrocchie di Adreveno e di Tolceto, apparentemente l'iniziativa sembra partire dal basso, ma alcuni indizi inducono a ritenere che sia pilotata dal casato egemone del luogo, quello dei Garibaldi 20 . Il nuovo rettore di Arzeno, Lorenzo Riccetto, probabilmente oriundo di Reppia, forse per sottrarsi ai contrasti tra le principali famiglie del luogo che, a quell'epoca, non mancavano anche nelle zone periferiche del Dominio genovese (ricordiamo che a Genova erano appena cessate le ostilità tra le opposte fazioni dei Nobili Vecchi e dei Nobili Nuovi, con le Leggi di Casale del 1575) si pone sotto la protezione della famiglia Garibaldi di Arzeno, entrando a far parte in qualche modo del clan, mediante l'assunzione del nome di famiglia, in base a una pratica usuale a Genova fin dal Medioevo 21 .
L'irregolarità della situazione non sfuggì, qualche anno più tardi, a uno zelante vescovo di Brugnato, Nicolò Mascardi, formato alla rigida scuola milanese di San Carlo Borromeo, il quale, tuttavia, evidentemente non riuscì a provi rimedio, forse a causa degli appoggi su cui la famiglia Garibaldi poteva contare negli ambienti vicini alla Curia genovese. Il rettore Riccetto continuò ad amministrare le due chiese fino alla sua morte, avvenuta nel 1616 22 . Nel 1594, finalmente la situazione fu regolarizzata con il passaggio della parrocchia di Reppia alla diocesi di Brugnato e con la sua unione alla parrocchia di Arzeno. Tale unione durò fino al 1657, quando i parrocchiani di Reppia, dopo anni di contrasti più o meno velati con i loro vicini, esercitarono forti pressioni per riacquistare l'autonomia 23 . Non si trattava soltanto di esigenze di tipo pastorale, quali la celebrazione della Messa domenicale (che, in questo periodo si celebrava alternativamente una domenica nell'una e una domenica nell'altra chiesa parrocchiale) e l'amministrazione dei Sacramenti agli infermi. Nel contesto socio-economico dell'epoca l'importanza dell'istituzione parrocchia era assai notevole, specie in aree rurali come la nostra. E' noto come, nel territorio della Repubblica genovese, la parrocchia rappresentasse anche una circoscrizione di tipo amministrativo e fiscale. E' facile, quindi intuire che la tendenza ad aumentare il numero delle parrocchie rurali, caratteristica della pastorale post-tridentina 24 , abbia incontrato larghi consensi nella popolazione, tenuto conto anche dei risvolti socio-economici che, indirettamente, essa comportava.
Dietro le pressioni dei parrocchiani di Reppia si può quindi intravvedere l'intervento della famiglia egemone dei Raffo, salita alla ribalta proprio nella prima metà del XVII secolo. Il maggiore ostacolo alla separazione delle due parrocchie era rappresentato dall'insufficienza delle rendite per il mantenimento di due parroci. Il vescovo di Brugnato Giovanni Battista Paggi convocò allora i rappresentanti delle due comunità, proponendo loro due soluzioni: o sanzionare una volta per tutte l'unione delle due parrocchie, provvedendo alla demolizione delle due chiese esistenti e alla costruzione di una nuova parrocchiale in un sito centrale e comodo per entrambe le comunità, oppure ripristinare la situazione precedente, separando le due chiese. La seconda soluzione imponeva che, per assicurare il decoroso mantenimento dei due rispettivi parroci, venisse aumentato il reddito dei relativi benefici parrocchiali. Si scelse, com'era prevedibile, quest'ultima strada. Nel 1659, nonostante le proteste dei parrocchiani di Arzeno, che avrebbero voluto mantenere lo status quo a proprio vantaggio, la chiesa di Sant'Apollinare di Reppia fu separata da quella di Arzeno e nuovamente eretta in parrocchia 25 . I redditi furono aumentati grazie alle donazioni di alcune famiglie del luogo, prima fra tutte quella egemone dei Raffo, che acquisì, in cambio, il diritto di patronato sulla chiesa stessa, comprendente pure il diritto di presentazione del parroco pro tempore,esercitato fino al 1935 26 .
A prescindere dal maggior prestigio e dell'appoggio del Senato genovese di cui poteva disporre, l'Arcivescovo di Genova rispetto al Vescovo di Brugnato, l'atteggiamento più cauto adottato, in quest'ultimo caso, dalle autorità ecclesiali, sembra indicare che, a distanza di quasi un secolo, in un contesto locale ormai mutato anche dal punto di vista sociale ed economico, soluzioni più radicali, come quelle già illustrate, frutto dello spirito riformatore scaturito dal Concilio di Trento, stavano ormai cedendo il posto a forme di intervento meno drastiche e più rispettose degli equilibri locali.
La chiesa di Santa Maria di Reppia sorgeva poco lontano dall'odierna parrocchiale di Sant'Apollinare, nella località denominata la Chiosa.Documentata fin dal 1236, doveva assolvere le funzioni di parrocchiale, come testimonia l'esistenza di un cimitero nelle sue vicinanze 27 . Nel Medioevo essa doveva essere dotata di rendite non disprezzabili, dal momento che papa Innocenzo IV, durante il primo Concilio di Lione (1249), conferì un beneficio fondato in questa chiesa, assieme ad altre prebende, fra cui alcune rendite delle chiese di Osti e di Adreveno, a certo Enrico, perché compisse gli studi. Costui era parente di Guglielmo di Camezana, nipote e cappellano del papa, nonché titolare di diverse rendite in Francia e in Inghilterra. Il Camezana, morendo, destinò un lascito alla riedificazione (o più probabilmente all'ampliamento) della chiesa di San Giovanni di Candeasco, presso Casarza Ligure. La sua famiglia, appartenente a un ramo dei Conti di Lavagna traeva il nome dalla frazione di Camezana, situata nelle vicinanze 28 .
In epoca imprecisata, forse agli inizi del Quattrocento 29 , le funzioni di parrocchiale, per ragioni a noi ignote, passarono alla vicina chiesa di Sant'Apollinare, fino ad allora dipendente da Santa Maria, e per l'edificio, ridotto a oratorio, iniziò una lenta decadenza. Nel 1582, quando la visitò mons. Bossi, era ormai fatiscente 30 . Le riparazioni previste non furono eseguite e la chiesa decadde ulteriormente. Nel 1611 era ormai ridotta allo stato di rudere e il vescovo di Brugnato Francesco Mottini, nel corso della visita pastorale, ordinò di demolirla completamente e di utilizzare il materiale recuperabile per l'ampliamento della chiesa di Sant'Apollinare 31 .
In seguito alla riorganizzazione delle circoscrizioni parrocchiali, conclusa nel secondo decennio del Seicento, la situazione in val Graveglia rimane immutata fino all'ultimo quarto del secolo successivo. Nel 1775, dopo una lunga serie di tentativi, gli abitanti della villa di Pontori ottengono dall'arcivescovo di Genova Giovanni Lercari la ricostituzione dell'antica parrocchia, intitolata non più a Sant'Antonino martire, ma a Sant'Antonio di Padova, titolare della cappella eretta nel 1680 nella frazione del Prato, ove risiede la famiglia egemone dei Garibaldi 32 . Nel 1835 anche la cappella di Sambuceto viene nuovamente eretta in parrocchia, assieme ad altre chiese annesse del Genovesato, da mons. Tadini, segno di una tendenza all'autonomia amministrativa, in campo religioso, nella quale aveva certo influito lo sviluppo demografico verificatosi nelle campagne durante il XIX secolo.
Nel corso del XVII secolo, venuta ormai meno ovunque l'organizzazione medievale del territorio rurale per plebes,questo viene suddiviso in vicariati foranei, il cui territorio, assai più ristretto, comprende un numero variabile parrocchie, raggruppate in base a criteri di ordine prevalentemente geografico 33 . In conseguenza della suddivisione del suo territorio fra diocesi diverse, in val Graveglia vennero istituiti due vicariati: uno facente capo alla parrocchia di San Biagio di Garibaldo, scelta, probabilmente, per la sua posizione centrale, l'altro alla parrocchia montana di Santa Maria di Nascio, scelta, probabilmente, perché più vicina delle altre al borgo di Sestri Levante, in cui i Vescovi di Brugnato risiedevano per buona parte dell'anno. Alla parrocchia di Garibaldo il titolo di vicarìa fu assegnato nel 1663; bisognò attendere tuttavia fino al 1769 perché le venisse concesso pure quello di arcipretura 34 . Non si conosce, invece, l'anno in cui la parrocchia di Nascio fu costituita centro del vicariato ultra colles, uno dei tre nei quali era suddivisa la diocesi di Brugnato. Nei registri parrocchiali il rettore si fregia del titolo di vicario foraneo fin dal 1676. Nel 1692 gli viene concesso pure in titolo di arciprete, sulla base di un documento che merita, forse, di essere analizzato.
Una pieve in alta val Graveglia?
La Parocchia ha il titolo di Antica Arcipretura e Pieve, come apare(sic) da due documenti del 1418 e del 1692. Così scriveva, con un pizzico di giustificato orgoglio, il Parroco di Nascio, poco dopo la metà del Settecento
35 . L'atto del 1692 cui faceva riferimento è rappresentato da un decreto in cui il Vescovo di Brugnato concedeva alla parrocchia di Nascio il titolo di arcipretura, conservato in duplice copia nell'archivio vescovile e in quello parrocchiale. Fu pubblicato nell'opera più famosa di Placido Tomaini, che lo considerò una prova dell'esistenza, fin dal Quattrocento, della pieve di Nascio, sconosciuta alla storiografia locale 36 .
In base alle informazioni contenute nel documento, sembrerebbe che mons. Giovanni Battista Da Dieci, che governava a quell'epoca la Diocesi, mentre si trovava in visita pastorale a Pontremoli, città nella quale il Vescovo di Brugnato possedeva la parrocchia di San Pietro de Conflentu, rinvenne fra le carte dell'archivio notarile un documento del 1418, rogato dal notaio pontremolese Corradino del fu Geminiano Belmessere, nel quale compariva, in qualità di testimone ad una transazione fra Giovanni Ludovico Fieschi e Antonio Fieschi, signori di Pontremoli, un certo Ianoto quondam Egidii,arciprete della pieve di San Giovanni di Nascio. Preso atto della scoperta, il prelato, avrebbe voluto ripristinare l'antico titolo di arcipretura che, come è noto, nel Medioevo, spettava alle sole chiese plebane, e che, con il passare del tempo sembrava essere caduto in disuso (al parroco di Nascio, infatti, a quell'epoca, spettava solamente il titolo di rettore).
Dal documento del 1418 fu tratto un regesto, conservato nell'archivio parrocchiale di Nascio, riprodotto su un foglio di carta di piccole dimensioni (cm. 13 per 19), che, probabilmente, doveva essere allegato al decreto del 1692, conservato in duplice copia nell'archivio vescovile di Brugnato e in quello parrocchiale di Nascio 37 .
Le informazioni fornite dal regesto dell'atto notarile quattrocentesco sembrano mettere in discussione le più elementari acquisizioni della storia religiosa locale, rivelando l'esistenza di una nuova pieve, mai attestata dalle fonti medievali, in un piccolo villaggio montano della val Graveglia. Fra l'altro, la sua dedicazione a San Giovanni Battista non corrisponde a quella a Santa Maria, ininterrottamente attestata per la chiesa di Nascio fin dal XIV secolo 38 . Le indicazioni fornite dal documento si rivelano, però, ad un attento esame, assolutamente infondate. Il documento regestato si riferisce ad una transazione fra due personaggi della famiglia Fieschi ed è probabilmente identificabile con la divisione dei beni del defunto Luca Fieschi, signore di Pontremoli, tra i figli Antonio e Giovanni Ludovico, effettuata nella residenza di Antonio il 5 febbraio 1419. Si tratta di un documento noto agli studiosi 39 , in cui molti elementi (a cominciare dal nome del notaio che rogò l'atto) sembrano corrispondere, a prima vista, con quelli offerti dal regesto. La prima vistosa discordanza fra l'originale e il suo presunto regesto seicentesco è rappresentata però dalla data. Il regesto è datato 6 febbraio 1418, mentre il documento autentico risale al 5 febbraio 1419. Fin qui si potrebbe pensare ad una svista del copista. Fra i testimoni citati nel regesto viene ricordato, fra gli altri, il vescovo di Brugnato, Tommaso Enreghini, appartenente a una nobile famiglia di Pontremoli legata ai Fieschi. Costui fu nominato vescovo ai primi di dicembre del 1418 anno da papa Martino V, appena salito sul soglio pontificio, al termine del Concilio di Costanza (1414-1418) che, come è noto, pose fine al nefasto Scisma d'Occidente. Al Concilio era intervenuto, fra gli altri prelati, il predecessore del vescovo Enreghini, Simone Tomati, morto verso la fine di quello stesso anno, il quale aveva ricevuto la nomina episcopale dall'antipapa Giovanni XXIII 40 . Il 6 febbraio 1418, quindi, mons. Enreghini non era ancora vescovo di Brugnato.
Non sappiamo se il regesto sia stato tratto da una copia alterata del documento originale, inserita in una filza dell'archivio di Pontremoli, oppure se l'interpolazione sia stata effettuata durante la redazione del regesto. Sembra più probabile che sia stata adottata la seconda soluzione: regestando l'atto notarile autentico, furono effettuate alcune modifiche: l'arciprete della pieve di San Giovanni di Varese (Ligure), fu trasformato in Arciprete della pieve (mai esistita) di San Giovanni di Nascio, mediante un'alterazione del toponimo.
Un ingrandimento fotografico del regesto ha rivelato un particolare curioso: il termine "Nascio" compare, nel testo, nella forma Naxscio, ben diversa da quelle attestate fin dal Medioevo nelle fonti scritte (Nasso, Nasci, Naxo, Nassio)41 , ma pienamente giustificata dall'esigenza di trasformare, anche graficamente, il toponimo Varisio, conservandone, però, invariato il numero di lettere, mediante opportune modifiche. L'intervento dell'arciprete di Varese alla transazione fra i due Fieschi è legato allo stretto rapporto che intercorreva tra il nobile casato e il borgo di Varese, che da essa era stato fondato 42 .
È evidente, quindi, che ci troviamo davanti a un documento spurio. L'esistenza della presunta pieve di San Giovanni di Nascio, che, se risultasse attestata nelle fonti medievali non sarebbe certo sfuggita all'indagine puntigliosa di studiosi come Arturo Ferretto, è perciò solamente una pia invenzione, volta ad aumentare il prestigio di una piccola parrocchia montana e a convalidarne la supposta primogenitura su quelle vicine. Sarebbe errato, tuttavia, interpretarla semplicemente come un falso storico dettato da ragioni di pura e semplice convenienza. Essa, al contrario va vista come un segno della mentalità del tempo, volta a ricercare, come osserva un noto studioso, " ...nell'antiquaria, nella tradizione e nella continuità con un passato in parte mitico, la conferma della supremazia..." 43 .
Non è un caso che tale operazione si sia svolta al tempo di mons. Da Dieci, il quale, prima di ricoprire la carica episcopale aveva coltivato, assieme alla passione per l'oratoria sacra, il gusto per la ricerca genealogica e antiquaria, compilando, fra l'altro, una genealogia della nobile famiglia Giustiniani, che risaliva fino all'imperatore Giustiniano 44 .
L'enigma dei ruderi di San Michele della Crocetta
Dopo aver illustrato brevemente alcuni interventi di riassetto delle circoscrizioni parrocchiali verificatisi in epoca post-tridentina è opportuno accennare ad un altro esempio, questa volta di segno opposto, trattandosi non di un accorpamento di parrocchie, ma di una loro separazione, che, secondo la tradizione locale, si sarebbe verificata, all'incirca nello stesso periodo.
Secondo tale tradizione (accolta dallo storico locale Luigi Biagio Tiscornia) le odierne parrocchie di Santa Maria di Nascio e di San Bartolomeo di Statale trarrebbero origine da un'antica chiesa, dedicata all'Arcangelo Michele, che sorgeva a metà strada fra i due villaggi e si sarebbero definitivamente separate, dopo un lungo periodo di unione, soltanto verso il 1565 45 . Pure uno storico della diocesi di Brugnato, Placido Tomaini, faceva derivare le due odierne parrocchie di Nascio e di Statale dall'antica matrice, senza precisare l'epoca in cui si sarebbero rese autonome. Anziché basarsi su fonti orali, del resto a lui sconosciute, come fece il Tiscornia, egli utilizzò un documento tratto dall'archivio vescovile di Brugnato.
Della chiesa di San Michele rimangono tracce del perimetro murario su un'altura boscosa situata all'incirca a metà strada fra i villaggi di Cassagna e di Statale, denominata la Crocettadal momento che, in passato, rappresentava un luogo di sosta durante le processioni annuali delle "Rogazioni". La mancanza assoluta di documenti relativi alla cappella e l'esiguità dei resti non consentono di giungere a conclusioni sicure circa l'origine e le funzioni di questo luogo di culto. La sua collocazione in una zona oggi disabitata, lungo un antico percorso che da Sestri Levante saliva verso l'Alta Val di Vara e proseguiva verso l'Appennino più interno 46 e la sua dedicazione al santo Arcangelo, assai venerato fin dall'Alto Medioevo, possono essere letti come segni di antichità non altrimenti precisabile. Potremmo forse trovarci di fronte a una cappella di fondazione altomedievale, o comunque molto antica, al servizio di più nuclei abitati 47 , in un contesto insediativo certo diverso dall'attuale. La mancanza di resti di costruzioni nelle sue adiacenze sembrerebbe escludere che la chiesetta abbia esercitato funzioni di ospizio per i viandanti, come altri luoghi di culto dedicati allo stesso Santo (si pensi, ad es., all'ospizio che sorgeva presso il valico di Centocroci, in alta val di Vara) 48 .
Occorre tener presente, in ogni caso, che, se davvero le due odierne chiese parrocchiali di Nascio e di Statale hanno tratto origine da essa, non è possibile collocare la loro nascita in un periodo così tardo, come quello tramandato dalla tradizione locale, o meglio, dallo storico della val Graveglia 49 . Entrambe le chiese, infatti, sono documentate, con l'odierna dedicazione a Santa Maria e a San Bartolomeo, fin dal 1310. Quella di Statale, citata con il semplice appellativo di ecclesia de Statario,è ricordata fin dal 1250 50 . Pure la chiesa di Santa Maria di Nascio, tuttavia, potrebbe vantare un'origine più antica. Il villaggio, infatti, nel corso dell'XI e del XII secolo, fu sede di una famiglia feudale che da esso traeva il nome, quella dei "Signori di Nascio", forse imparentata con i Conti di Lavagna, ed era sede di un castello documentato nelle fonti scritte 51 . Pare dunque improbabile che Nascio non fosse dotato di un luogo di culto, magari una semplice cappella castrense, che potrebbe aver rappresentato il primo nucleo dell'odierna chiesa parrocchiale. La sua dedicazione a Santa Maria, frequente in ogni epoca, si ritrova infatti in altre chiese della Liguria di Levante fondate in età feudale: si pensi soltanto a quella di Santa Maria di Piazza, presso Deiva, fondata nell'XI secolo dai Signori di Passano, un'altra famiglia della feudalità locale, imparentata fra l'altro con i Signori di Nascio 52 , o alle numerose chiese dedicate a Santa Maria che sorgevano in ambiti controllati dai Conti di Lavagna (in val Graveglia Santa Maria di Zerli e Santa Maria di Reppia).
E' probabile, dunque, che Biagio Tiscornia abbia confuso la nascita delle due odierne parrocchie di Nascio e di Statale con una loro separazione, avvenuta, dopo un periodo di unione, comune, come si è detto, a quasi tutte le chiese della valle, nella seconda metà del Cinquecento. Fra l'altro, alcuni documenti citati da Arturo Ferretto provano che nel 1517 la chiesa di Santa Maria di Nascio risultava unita a quella di San Giacomo di Loto 53 . Nel 1560 era, invece, autonoma 54 . In una visita pastorale del 1579 si accenna, fra l'altro, ad alcuni servizi prestati, negli anni precedenti, dal rettore di Nascio alla parrocchia di Statale, durante l'assenza del parroco 55 . Al massimo, quindi, dovette verificarsi, per qualche anno, un'unione di fatto, simile a quella che abbiamo riscontrato fra le due chiese di Reppia e di Arzeno nello stesso periodo. La separazione delle due parrocchie dalla chiesa matrice, se mai si verificò, deve quindi necessariamente risalire ad un'epoca di molto anteriore.
La visita del 1579 consente, fra l'altro, di ricostruire l'aspetto delle antiche chiese di Nascio e di Statale a distanza di poco più di un decennio dalla loro presunta separazione. In entrambi in casi sembra si trattasse di chiese appartenenti ad una tipologia risalente quantomeno al tardo Medioevo e bisognose di restauri, segno che non erano di recente costruzione 56 . Nel documento, tuttavia, non si accenna minimamente all'esistenza della cappella di San Michele, evidentemente già scomparsa da tempo 57 . Va segnalata, inoltre, una piccola scoperta archeologica, la cui memoria è stata tramandata da una carta dell'archivio vescovile di Brugnato. Nel 1589, nel corso di alcuni lavori di ampliamento effettuati nella chiesa di Statale, fu demolito il vecchio altare, all'interno del quale fu rinvenuto un vasetto di stagno fatto in modo de calice, antichissimo, quale per la vecchieza è rotto da una parte,contenente alcune reliquie senza nome 58 .
Il documento del 1250 in cui si accenna alla ecclesia de Statario lascia spazio, tuttavia, ad un'altra ipotesi che, personalmente, ritengo più interessante. I ruderi di San Michele, benché situati in posizione intermedia rispetto alle due odierne chiese parrocchiali, a partire almeno dal periodo in cui si fissarono i confini delle rispettive giurisdizioni, risultano compresi nel territorio della parrocchia di Statale. Da un catasto del primo Seicento risulta che l'area su cui sorgevano, contraddistinta dal toponimo San Michelerisultava già allora adibita a castagneto e apparteneva a un privato (forse in seguito a un'usurpazione) 59 .
Per impostare correttamente il problema bisogna tener conto, come in altri casi, delle dinamiche insediative degli ultimi secoli del Medioevo, sulle quali solo un'indagine interdisciplinare potrebbe fornire elementi risolutivi. In base a ricerche archeologiche condotte, negli ultimi decenni, dall'Istituto per la Storia della Cultura Materiale, sotto la direzione del prof. Tiziano Mannoni, sembra che l'odierno nucleo abitato di Statale sia stato fondato nel tardo Medioevo. Il villaggio antico si troverebbe su un altro ripiano, a qualche centinaio di metri di distanza, in linea d'aria 60 . Ignoro se il sito in questione si trovi nelle vicinanze dei ruderi di San Michele, ma, se così fosse, la cappella potrebbe essere identificata con l' ecclesia de Statariodel documento del 1250, dal momento che, malgrado lo spostamento di sede, il nucleo abitato non ha cambiato nome 61 .
Non si può escludere che, anche dopo il trasferimento dell'abitato, l'antica chiesa possa aver mantenuto per qualche tempo le funzioni di luogo di culto, in un primo tempo, fino alla costruzione dell'odierna parrocchiale di San Bartolomeo, come chiesa parrocchiale, e, in seguito, come oratorio. E' noto, infatti, che negli ultimi secoli del Medioevo fiorirono in tutta Italia numerose associazioni laicali (si pensi ai movimenti dei Battuti o Disciplinanti) talora ospitate in edifici situati fuori dei centri abitati 62 (come, ad es., l'oratorio di San Rocco che sorge nella non lontana frazione di Zerli). E' possibile supporre, in via ipotetica, che la chiesa di San Michele abbia esercitato, per qualche tempo, anche tale funzione. L'oratorio di San Rocco, che sorge nel vicino villaggio di Cassagna, appartenente alla parrocchia di Nascio, fondato probabilmente nel corso del XVI secolo, in origine era sede di una confraternita di Disciplinanti 63 . Esso, forse, potrebbe aver ereditato tale funzione dalla chiesa, ormai in disuso, di San Michele con la quale, fra l'altro, ha in comune la stessa semplice planimetria a pianta rettangolare, tipica degli oratori. Si tratta, tuttavia, di un'ipotesi non suffragata da indizi sicuri, dal momento che la cappella San Michele appare più legata a Statale che a Nascio. Di quest'ultima parrocchia il Santo Arcangelo è patrono secondario, assieme a Santa Maria, ma nessun documento degli archivi vescovili e parrocchiali accenna alla duplice intitolazione prima del XX secolo; essa dunque è da ritenersi un'aggiunta moderna, mutuata dalla tradizione locale 64 . Per quel che riguarda la chiesa di Statale, invece, la presenza di un altare dedicato a San Michele, risalente, a quanto si deduce dagli stucchi che lo adornano, al tardo Seicento o al primo Settecento, è probabilmente connessa con il fatto che l'antica cappella sorgeva nell'ambito del territorio parrocchiale.
Tra politica ed erudizione locale: una "riscoperta" di età napoleonica?
Tenendo presenti le ipotesi formulate circa le primitive funzioni della chiesa di San Michele, è interessante verificare se la tradizione orale riferita dal Tiscornia sia attestata o meno nelle fonti scritte. Il primo (ed unico) documento in cui si accenna, indirettamente, ad essa è conservato nell'archivio vescovile di Brugnato. Nel corso della visita pastorale del 1804 il vescovo di Brugnato Gian Luca Solari, scendendo da Statale a Nascio, compì una breve deviazione dall'itinerario consueto ed effettuò una breve sosta presso i ruderi di San Michele, definiti " veteris parochialis ecclesiae,,per pregare per i defunti sepolti in quel luogo 65 . Prima di allora, secondo quanto si legge nelle relazioni delle visite pastorali conservate nell'archivio vescovile di Brugnato, a partire da quella di mons. Mascardi del 1579, non compare alcun cenno all'esistenza della cappella, né, tanto meno, alle sue primitive funzioni di chiesa matrice. Nessun Vescovo, inoltre, aveva mai pensato di compiere una sosta presso quei ruderi, neppure lo stesso Solari, che aveva effettuato una visita pastorale dieci anni prima.
Ancora più strano appare il silenzio dei parroci delle due chiese vicine in merito alla derivazione delle rispettive parrocchie dalla cappella di San Michele. Nell'archivio vescovile di Brugnato sono conservati, a partire dagli inizi del Settecento, numerosi questionari sullo stato delle parrocchie, che era uso inviare ai parroci prima delle visite pastorali e che rappresentano una miniera di notizie sulle medesime. Rispondendo al quesito relativo alle origini della propria parrocchia, i parroci di Nascio e di Statale non fanno alcun riferimento alla cappella o alle sue funzioni di chiesa matrice e affermano di ignorare quando sia stata fondata la parrocchia e quando sia stata costruita la chiesa. Qualcuno aggiunge di aver compiuto diligenti indagini in proposito, presso gli anziani della parrocchia, senza, tuttavia, ricavarne alcuna informazione. Solo tre parroci si spingono oltre e azzardano qualche ipotesi. Nel 1739 l'arciprete di Nascio Antonio Maria Raffo scriveva che la sua chiesa sarebbe stata fabbricata nel 1616, come risultava da una nota di spese reperibile nel registro di cassa della masseria 66 . Nel 1756 il suo successore Lorenzo Ghio citava in favore dell'antichità e della preminenza della propria parrocchia su quelle vicine due documenti: uno del 1692 e l'altro, spurio, del 1418, senza accennare alla presunta unione con Statale, che, secondo il Tiscornia, sarebbe anteriore al 1565 67 . Allo stesso modo il parroco di Statale nel 1739, basandosi su una data incisa su una pietra visibile, a quel tempo, sulla facciata della chiesa, ipotizzava che essa potesse essere stata costruita ex novonel 1638. Evidentemente egli confondeva, come il suo confratello di Nascio, la fondazione della chiesa con un successivo ampliamento 68 .
Sembra quindi che la tradizione orale che fa derivare le chiese di Nascio e di Statale dalla cappella di San Michele fosse affatto ignota ai rispettivi parroci fino al 1804 (ed anche in seguito), dal momento che ad essa non si accenna mai in nessuna relazione anteriore al XX secolo 69 . Il documento vescovile del 1804 induce a ritenere che proprio in quegli anni si sia verificata la riscoperta dei ruderi della Crocetta e l'attribuzione delle funzioni di chiesa matrice, formulata da qualche erudito. Essa non sembra essere stata formulata sulla base di riscontri documentari che, come si è visto, mancano, e che, comunque, anche ipotizzando l'esistenza di documenti a noi non pervenuti, piuttosto improbabile, per le ragioni già esposte, avrebbe dovuto lasciare qualche traccia nelle carte d'archivio: si pensi, ad es., al documento spurio del 1418. E' assai più probabile che la collocazione dei ruderi, forse a quell'epoca ancora parzialmente conservati, in un luogo disabitato, situato in posizione intermedia rispetto alle due chiese parrocchiali abbia attirato l'attenzione di qualche cultore di storia locale e sia stata interpretata come un indizio dell'antichità e delle primitive funzioni della chiesa stessa. Dall'ambiente erudito tale "riscoperta" sarebbe passata a quello locale, dando origine a una tradizione orale che dura tutt'ora, grazie anche alla segnalazione nella monografia sulla val Graveglia del Tiscornia 70 .
Fra gli storici e i genealogisti del Chiavarese attivi a quell'epoca uno dei più noti è il medico Carlo Garibaldi, oriundo di Pontori e appassionato indagatore di memorie storiche locali. Un suo coinvolgimento nella vicenda è, tuttavia, da escludere, in quanto, nei suoi manoscritti non compare alcun cenno alla cappella di San Michele né alle parrocchie di Nascio e di Statale, probabilmente perché non facenti parte del "Territorio di Garibaldo" 71 . E' sintomatico poi che nella relazione inviata dal parroco di Nascio poco prima della visita del 1804 non si faccia cenno alla tradizione di cui si è parlato; ciò potrebbe rappresentare un indizio del fatto che essa non sia sorta in ambito locale. E' pure da segnalare il fatto che, come si è detto, nella visita pastorale compiuta nel 1794 lo stesso mons. Solari non abbia compiuto una sosta presso i ruderi di San Michele 72 . Si tratta di indizi che inducono a ipotizzare l'intervento di personalità del mondo culturale estranee al circuito locale, ma dotate di contatti con gli ambienti vicini alla Curia e pure di un certo prestigio, tale comunque da giustificare una modifica al programma della visita stessa. La sosta compiuta presso i ruderi dall'anziano prelato, ormai piuttosto cagionevole di salute e quasi privo della vista, 73 sembra alludere alla volontà di conferire una particolare connotazione all'evento. La preghiera per i defunti sepolti presso i ruderi e la menzione della loro primitiva funzione acquistano una connotazione simbolica: forse l'intenzione di riallacciarsi idealmente alle origini della comunità parrocchiale, o comunque alle comunità cristiane dei secoli passati.
Non dimentichiamo che, nel corso dell'ultimo decennio, si erano susseguiti avvenimenti di notevole rilevanza, che avevano profondamente mutato l'ordinamento civile e religioso fino ad allora vigente. Sotto la ventata rivoluzionaria venuta dalla Francia era crollata la Repubblica di Genova, nel 1797, sostituita dalla Repubblica Ligure. Il movimento antirivoluzionario dei "Viva Maria", sorto nelle campagne liguri, era stato soffocato dalle truppe di occupazione francesi. Il passaggio fra antico e nuovo regime non era stato indolore; la politica di netta separazione fra Chiesa e Stato aveva determinato il sorgere di provvedimenti quali la requisizione degli argenti delle chiese e la soppressione delle congregazioni religiose, destinati a surriscaldare ulteriormente il clima di quegli anni, che culminò con il terribile assedio di Genova del 1800. Solo con l'ascesa di Napoleone, desideroso di giungere a un'intesa con la Santa sede per consolidare il proprio potere, il clima anticlericale e giacobino andò parzialmente stemperandosi, malgrado le note vicende che portarono all'arresto e alla prigionia di Pio VII.
Una recente, lucida ricostruzione delle vicende della Chiesa genovese tra Sette e Ottocento ha messo a fuoco il ruolo del movimento giansenista ligure negli avvenimenti di quegli anni 74 . La penetrazione delle idee gianseniste nel clero ligure e soprattutto genovese era iniziata, pare, verso la metà del XVIII secolo. Dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese il Giansenismo genovese si era legato a una corrente del partito democratico, assumendo posizioni vicine a quelle della Chiesa Costituzionale francese, frutto del Gallicanesimo rivoluzionario. Il movimento intendeva approfittare del mutato clima politico per attuare le riforme vagheggiate, in campo disciplinare e liturgico, fin dal famoso Sinodo di Pistoia (sconfessato dalla Chiesa Cattolica) del 1786 che avrebbero dovuto ricondurre la Chiesa al rigore e alla purezza dei rimi secoli, fortemente idealizzati 75 . Tipici della cultura giansenista erano il culto per la vita semplice e laboriosa della campagna, nonché la mitizzazione dell'antichità cristiana, iniziata con l'erudizione francese di metà Seicento. Il partito democratico, scrive uno studioso «aveva tentato di dare ampio spazio al tentativo di realizzare un rinnovamento che, insieme con le strutture politiche, doveva investire l'ambito religioso e si esprimeva in un sentito desiderio di purificazione e di semplificazione dei riti e nella necessità di un ritorno allo spirito di povertà del Cristianesimo delle origini» 76 .
Esponente di punta del Giansenismo genovese era il sacerdote Eustachio Degola, famoso per il ruolo ricoperto nell'ambito della conversione di Alessandro Manzoni. Anche alcuni esponenti della nobiltà genovese erano legate agli ambienti giansenisti fin dagli anni della Repubblica aristocratica. Tra questi Michelangelo Cambiaso, appartenente a una delle più nobili famiglie del patriziato cittadino ed esponente di spicco del mondo politico genovese tra Sette e Ottocento. Dopo aver ricoperto per ultimo la carica di doge della Repubblica, dopo la caduta di quest'ultima, nel 1797, aderì alla corrente moderata del partito democratico e ricoprì incarichi di rilievo nella Repubblica Ligure e nell'Impero di Napoleone, dal quale fu tenuto in grande considerazione 77 .
Il suo nome compare, assieme a quelli del padre (che era stato anch'egli doge) e dello zio, su una lapide murata al centro del pittoresco ponte di pietra, eretto nel 1756 per munificenza della sua famiglia, sul rio Novelli, tra le frazioni di Nascio e Cassagna 78 . La sua famiglia da due secoli era legata a queste zone da rapporti che non conosciamo, forse connessi con sfruttamento delle risorse minerarie, e aveva più volte beneficato la chiesa e la comunità di Nascio. Si può dunque supporre, a proposito della riscoperta dei ruderi di San Michele, un intervento, se non da parte di Michelangelo Cambiaso, che del Santo titolare della chiesetta portava il nome, 79 almeno da parte di qualche personaggio appartenente al suo entourage o alla corrente politico-religiosa alla quale egli apparteneva .
Non era inusuale, infatti, a quell'epoca, che personaggi del mondo politico e culturale genovese risultassero coinvolti nelle vicende locali. Un esempio del clima di quegli anni è rappresentato da un curioso episodio verificatosi nella vicina parrocchia di Arzeno, che era governata dal rev. Antonio Maria Raffo, esponente di un ramo della famiglia egemone della vicina parrocchia di Reppia: i Raffo di Botasi. La sua famiglia, forse per ragioni estranee al dibattito ideologico, dopo il 1797 si era legata al partito democratico ed alcuni suoi esponenti ricoprivano cariche pubbliche nell'ambito del nuovo distretto amministrativo di Ne 80 . Il rev. Raffo apparteva inoltre al gruppo dei parroci rurali iscritti alla Società Economica di Chiavari e doveva essere in contatto con l'ambiente degli storici e degli eruditi locali
81 . Fin dal 1803 egli aveva suscitato qualche pia invidia fra i suoi confratelli delle parrocchie vicine per essersi arrogato un diritto che, a loro avviso, non gli competeva. Dal momento che tra Sei-Settecento alcuni parroci di Arzeno (e di Nascio) avevano goduto del titolo di canonico della cattedrale di Brugnato
82 , egli aveva pensato bene di adottare l'uso delle insegne canonicali in occasione delle maggiori solennità. Durante la visita pastorale del 1804, il vescovo di Brugnato Gian Luca Solari, in seguito a pressioni esercitate dai parroci di Reppia e di Statale, pensò bene di risolvere la questione privando il rettore delle sue insegne. Si scatenò, puntualmente, la reazione delle famiglie più in vista della parrocchia, forse ispiratrici di tutta la vicenda, fra le quali figuravano alcuni rami, trapiantati a Genova, della parentela Garibaldi. Fra i personaggi coinvolti nell'evento, che può persino indurre al sorriso, figurano esponenti della nobiltà genovese, sebbene di secondo piano 83 , e della nuova classe dirigente democratica: Michelangelo Ferro, avvocato in Genova,
che al tempo della Repubblica aristocratica si fregiava dell'appellativo di magnifico, proprio della nobiltà genovese ,suo nipote Cristoforo Casiccia e il cugino di lui, Angelo Garibaldi, primo archivista della Repubblica[Ligure] 84 .
E' probabile che sia stato proprio quest'ultimo personaggio ad aver consentito a Carlo Garibaldi, il maggior esponente dell'erudizione locale dell'epoca, oriundo di Pontori, durante il suo soggiorno a Genova al tempo dell'assedio del generale Massena, nell'anno 1800 85 , l'accesso alle carte dell'odierno Archivio di Stato, in particolare quelle conservate nel fondo Archivio Segreto che egli utilizzò per le sue ricerche
86 .
I contatti tra gli ambienti politici e culturali del capoluogo, come si vede, e del territorio rurale erano tutt'altro che labili...
Caratteristica del clima dei decenni a cavallo tra XVIII e XIX secolo, in molte regioni italiane, era pure l'usanza di festeggiare gli anniversari della fondazione delle chiese, basandosi, in mancanza di riscontri documentari, su date fittizie.
Una labile traccia di tale consuetudine, a livello locale, è rimasta nella parrocchia di Arzeno, affidata alla memoria collettiva, dal cui orizzonte è ormai scomparsa da tempo.
In un registro dei verbali della Fabbriceria si legge che nel 1913 si organizzarono solenni feste patronali in occasione del 250° anniversario di fondazione della Confraternita del Carmine e del millenario di fondazione della chiesa parrocchiale! Pare infatti che, nel 1813 fosse stato solennemente celebrato il nono centenario di fondazione della chiesa, come si rileva dalla nostra viva memoria 87 .
Un altro esempio della fragilità delle acquisizioni storiografiche fondate unicamente sulla vox populiè costituito dal problema dell'ubicazione della chiesa medievale di Santa Reparata di Tolceto.
Ancora sul finire del XIX secolo il parroco e la popolazione di Caminata ritenevano che essa sorgesse in corrispondenza di una cappella dedicata alla Santa, fondata, in realtà, da una famiglia egemone del luogo sul finire del XVII secolo in una località più vicina all'abitato di Tolceto. Evidentemente, a quell'epoca era nota solo a pochi l'esistenza dei bei ruderi protoromanici che sorgono sul monte, lontano dal centro abitato e che, in tempi più vicini a noi, furono riscoperti da qualche appassionato
88 .
Nel XIX secolo, i fratelli Remondini, pur ignorandone ancora l'esistenza, avanzavano, tuttavia, motivate riserve circa la presunta corrispondenza fra le due cappelle 89 .
Tornando all'argomento principale, si può affermare che per quel che riguarda i ruderi di San Michele gli unici punti fermi sono rappresentati da pochi dati.
E' attestato da un catasto seicentesco che sul colle della Crocetta sorgeva, in epoca anteriore ma imprecisata, un luogo di culto dedicato a San Michele, abbandonato prima della fine del Cinquecento. Circa le sue funzioni nulla si può affermare con sicurezza.
In base a una tradizione locale, attestata a partire dal 1804, esso avrebbe rappresentato la chiesa matrice dalla quale sarebbero derivate le odierne chiese parrocchiali di Nascio e di Statale, entrambe documentate a partire dal XIV secolo. Dal momento che, come affermano alcuni illustri archeologi, il villaggio di Statale documentato come quelli vicini, a partire dall'XI secolo, avrebbe subìto uno spostamento di sede negli ultimi secoli del Medioevo, è possibile che la cappella di San Michele rappresentasse il luogo di culto dell'originario insediamento di Statale.
A favore di questa ipotesi depongono la presenza del culto del Santo Arcangelo nella parrocchia di Statale, attestata fin dal Sei-Settecento, e la collocazione dei ruderi nell'ambito del territorio parrocchiale. Comunque stiano le cose, l'interesse per i ruderi di San Michele sembra sia sorto, o abbia ripreso vigore agli inizi del XIX secolo, nell'ambiente erudito, per passare poi a quello locale.
La prova dell' "invenzione delle origini": «Sei candelieri di bronzo di forma vetusta...»
A conferma della tradizione orale di cui si è parlato, lo storico della val Graveglia L. B. Tiscornia segnalava il fatto che le parrocchie di Nascio e di Statale possedevano ciascuna sei candelieri di bronzo di forma vetusta. Essi avrebbero fatto parte di un unico servizio di dodici pezzi, appartenuto inizialmente alla cappella di San Michele della Crocetta, in seguito diviso, assieme ad altri arredi, fra le due chiese che da essa avrebbero tratto origine 90 .
Il parroco di Statale, in un inventario steso nel 1936, forse per effetto della suggestione indotta dall'opera del Tiscornia, pubblicata in quello stesso anno, definiva i candelieri in questione millenari.Il suo collega di Nascio, nello stesso anno, ne segnalava solamente cinque e mezzo (sic!) di bronzo di epoca remota 91 .
Attenendoci esclusivamente alle fonti scritte, senza esprimere valutazioni di carattere storico-artistico, dimostreremo che i candelieri di Statale e di Nascio risalivano a un'epoca assai più recente di quella loro attribuita dal Tiscornia.
Chi conosce, anche sommariamente, le principali fonti ecclesiastiche edite ed inedite dell'epoca post-tridentina, come le relazioni delle visite pastorali o delle visite apostoliche, non può che rimanere colpito di fronte alla presenza di un simile corredo in una piccola chiesa di campagna, come la cappella di San Michele.
Nei decreti della visita apostolica di mons. Bossi alla diocesi di Genova, non è raro trovare, per le chiese rurali, l'ordine di provvedere due candelieri di legno dorato o almeno dipinto, in sostituzione di quelli in dotazione, spesso indecorosi
92 .
Dagli atti della visita pastorale di mons. Mascardi del 1579, risulta che la chiesa della diocesi di Brugnato che possedeva un numero più elevato di candelieri era la cattedrale di San Pietro, fornita di quattro candelieri, due di legno e due di ottone 93 .
E' noto, del resto, che l'uso di porre sull'altare sei candelieri (eventualmente aumentabili a dodici) ai lati della croce fu introdotto, dopo il Concilio di Trento, da San Carlo Borromeo, autore di un testo basilare per l'architettura e l'arredo sacro della Controriforma e divenne generale durante il periodo barocco, in seguito anche alla trasformazione della tipologia degli altari 94 .
Gli inventari degli arredi delle chiese di Nascio e di Statale forniscono ulteriori elementi. Nel 1579 mons. Nicolò Mascardi, compiendo la visita pastorale alla chiesa di Nascio, vi trovò solo due candelieri di legno indecorosi, da eliminare. Nel corso di un'altra visita, compiuta due anni, più tardi verificò l'attuazione dei decreti emanati in precedenza, fra i quali si legge: Si comprino due candelieri di legno o di ferro. Non s'è fatto 95 . Da un inventario del 1656, che già si è avuto modo di ricordare, risulta che a quell'epoca la chiesa possedeva solo quattro candelieri di legno dorato 96 . In un altro inventario privo di data, ma compilato attorno al 1680, compaiono finalmente sei candelieri di legno dorato più due simili, più piccoli e altri sei candelieri di ottone, più altri due simili più piccoli. Si tratta, probabilmente, dei candelieri cui accennava il Tiscornia 97 .
Per quel che riguarda la chiesa di Statale, nel 1589 un visitatore inviato dal Vescovo di Brugnato, tessendo l'inventario delle suppellettili della chiesa aveva trovato solo due candelieri di ferro male incomodati 98 . In un inventario di beni e arredi della chiesa di Statale risalente alla fine del XVIII secolo compaiono, invece, fra gli altri candelieri, di legno o di rame argentato, sei candelieri di ottone, che, probabilmente, dovevano essere simili a quelli di Nascio 99 .
Da quanto esposto si deduce che i due servizi di sei candelieri di bronzo (o di metallo analogo) che, ai tempi del Tiscornia, facevano parte degli arredi delle chiese di Nascio e di Statale, identici fra loro perché, forse, acquistati dalla stessa bottega, non dovevano risalire oltre la seconda metà del XVII secolo.
Il riassetto delle circoscrizioni parrocchiali inaugurò, anche in val Graveglia, il rinnovamento edilizio post-tridentino, in seguito al quale le chiese rurali del Genovesato, acquisirono le caratteristiche, per noi usuali, del cosiddetto "Barocchetto Rurale". La costruzione di nuove chiese parrocchiali e l'ampliamento o la ristrutturazione di quelle già esistenti, nella diocesi genovese, e, in generale, nel Dominio della Repubblica, subìrono un nuovo impulso al tempo del cardinale Stefano Durazzo, arcivescovo di Genova dal 1635 al 1664, che, sull'esempio di San Carlo Borromeo, intendeva applicare anche in campo architettonico i princìpi della riforma liturgica tridentina. Un così vasto progetto di rinnovamento edilizio fu promosso dalla Curia genovese, grazie anche alle cospicue elargizioni di molti cittadini abbienti, appartenenti soprattutto al ceto nobiliare, di comune accordo con la Repubblica, che istituì un'apposita magistratura: il Magistrato delle Chiese Povere. Dell'attività di questa magistratura è rimasto, fra l'altro, un resoconto di notevole interesse, steso da due sacerdoti che, nella seconda metà del Seicento furono incaricati di visitare, per conto delle autorità civili genovesi, le chiese rurali dell'archidiocesi, per verificarne i bisogni più urgenti 100 .
Il rinnovamento edilizio iniziato all'indomani del Concilio di Trento si protrasse per tutto il Seicento e il Settecento e le chiese rurali rappresentarono una sorta di cantiere aperto fino agli inizi del XX secolo, dal momento che subìrono una serie quasi ininterrotta di ampliamenti e, soprattutto, di interventi decorativi. Se la planimetria delle chiese parrocchiali di Valgraveglia risale per lo più al XVII secolo e gli interventi decorativi al XVIII, una nuova serie di ristrutturazioni si aprì verso la metà dell'Ottocento, con l'afflusso delle rimesse degli emigranti nelle Americhe, e si concretizzò soprattutto in interventi di riassetto generale degli interni, delle facciate e nella ristrutturazione delle torri campanarie.
Anche in val Graveglia la ristrutturazione sei-settecentesca delle chiese parrocchiali fu attuata adottando diverse soluzioni. Nella stragrande maggioranza dei casi le chiese preesistenti, di origine medievale, subirono una serie di ampliamenti e di rimaneggiamenti dai quali l'aspetto originario uscì profondamente trasformato e, quasi, sempre, irriconoscibile.
Fra le odierne chiese parrocchiali della valle solo due conservano tracce visibili delle preesistenti costruzioni medievali. La chiesa dei Santi Giustina e Cipriano di Sambuceto, ha conservato pressoché intatta la planimetria originaria, riconoscibile soprattutto all'esterno, nella muratura dell'abside e della fiancata destra, nonché nel portale, benché ricoperto da intonaci. In origine l'edificio era un oratorio dedicato a San Cipriano, mentre la chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Giustina sorgeva in corrispondenza del vicino cimitero. Nel 1582 il visitatore apostolico mons. Bossi ordinò di trasferire la sede parrocchiale nell'oratorio, che si trovava in migliori condizioni, apportando alcune piccole modifiche ancor oggi riconoscibili, come la chiusura della monofora centrale dell'abside e l'apertura di una nuova finestra, più tardi tamponata e sostituita da altre due poste ai lati 101 . Probabilmente nel secolo XVII i muri laterali furono leggermente sfondati per accogliere i due altari minori. E' probabile che anche la torre campanaria, certamente modificata tra Ottocento e Novecento, sia stata costruita in un secondo tempo, dal momento che l'oratorio poi trasformato in chiesa doveva esserne privo. La chiesa, divenuta succursale della parrocchia di San Giacomo di Loto agli inizi del XVII secolo, riacquistò l'autonomia solo nel 1835 102 .
Un'altra chiesa parrocchiale che presenta tracce evidenti della costruzione medievale è quella di San Lorenzo di Arzeno, di cui si parlerà in seguito.
Altre chiese della valle, sicuramente di origine medievale,non presentano più, invece, alcun elemento visibile di antichità. E' il caso della parrocchiale di Sant'Apollinare a Reppia, in origine dipendente dalla vicina chiesa di Santa Maria, demolita sul finire del Cinquecento. Le scarse notizie ricavabili dai documenti e le numerose modifiche subite dall'edificio, ultima delle quali la divisione in tre navate, agli inizi del Novecento, non consentono di formulare ipotesi sull'assetto della chiesa medievale. La chiesa, ricca di stucchi e pitture, fu dichiarata monumento nazionale nel 1936 103 .
Anche la chiesa di San Bartolomeo di Statale subì numerosi rimaneggiamenti, che hanno cancellato ogni traccia della chiesa originaria, documentata, come si è detto, fin dal XIV secolo. Un documento del 1579 consente di ricostruirne la tipologia e le dimensioni. Si trattava di una piccola chiesa ad aula unica monoabsidata, dotata di una torre campanaria e coperta da un soffitto ligneo. Essa, forse, sorgeva in corrispondenza dell'odierno presbiterio e del coro, che presentano una pianta quadrangolare leggermente asimmetrica. Un primo ampliamento, nel corso del quale fu eseguita una modifica dell'orientamento, fu eseguito nel 1589. L'edificio assunse la sua planimetria attuale probabilmente nella prima metà del Seicento. Un secolo più tardi era ancora visibile sulla facciata una pietra che recava incisa una data: 1638 104 . Al Sei-Settecento dovrebbe risalire pure la piccola torre campanaria, ricoperta all'esterno da stucchi, al cui interno è visibile la muratura originale, piuttosto povera. Il campanile, forse perché ritenuto erroneamente una torre di avvistamento di un fortilizio fliscano, fu dichiarato monumento nazionale nel 1937 105 .
La cappella sconsacrata che sorge nel cimitero parrocchiale è una costruzione della prima metà dell'Ottocento iniziata per adempiere un voto emesso nel corso della pestilenza del 1836, forse destinata a sostituire la chiesa parrocchiale e, probabilmente, rimasta incompiuta per mancanza di fondi 106 .
Anche la chiesa di Santa Maria di Ne non presenta più alcuna traccia della costruzione originale. Nel corso di un ampliamento avvenuto nel 1626 l'abside, che era rivolta a oriente, secondo l'uso medievale, fu ricostruita rivolta verso nord e la facciata a sud, secondo lo schema tipico dell'epoca post-tridentina. L'interno, ricco di marmi, stucchi e pitture è uno dei più belli della valle, assieme a quello delle chiese di Caminata e di Reppia 107 .
Un'ultima categoria è rappresentata dalle chiese costruite ex novo nel corso del Seicento e del Settecento. Fra queste merita un cenno particolare la chiesa di San Martino di Caminata, il cui ricco interno rivela la presenza di una committenza particolarmente facoltosa, rappresentata dalla locale famiglia dei Garibaldi di Liggi. Stando alle testimonianze in nostro possesso, essa è l'unica chiesa della valle, assieme a quella di Pontori, a non aver subìto mutamenti sostanziali, nella planimetria, nel corso degli ultimi secoli 108 .
La chiesa di San Biagio di Garibaldo, invece, subì, nella prima metà del Settecento, un prolungamento della navata dalla porta laterale fino all'ingresso 109 . La parrocchiale di Sant'Antonio di Pontori, riedificata nel 1775 nella frazione del Prato, grazie al lavoro concorde della popolazione e all'iniziativa della famiglia egemone dei Garibaldi, presenta, invece, una singolare pianta ottagonale, unica in tutta la valle 110 .
Anche la chiesa priorale di Sant'Eufemiano di Graveglia, un tempo sede di un monastero ricordato per la prima volta nel 1076, subì la stessa sorte. La vecchia chiesa monastica, giunta pressoché indenne almeno fino alla fine del Seicento, fu completamente ricostruita secondo gli schemi usuali del barocchetto rurale nel 1866 111 .
Il rinnovamento edilizio sei-settecentesco non interessò, tuttavia le sole chiese parrocchiali, ma favorì il sorgere di numerose cappelle che si aggiunsero agli oratori fondati negli ultimi secoli del Medioevo dalle Confraternite, o "Casacce", eredi dei movimenti medievali dei Battuti o Disciplinanti 112 . Fra questi ricordiamo l'oratorio dedicato a Santa Lucia, che sorge nella frazione omonima, sul fondovalle, tra Graveglia e Ne. Pur appartenendo geograficamente alla val Graveglia, esso dipende dalla parrocchia di Santa Maria di Monticelli, che fa parte del comune di Cogorno. Pare risalga al XIII secolo ed abbia subìto radicali rimaneggiamenti nel corso del Cinquecento, dopo essere stato distrutto da una piena del torrente Graveglia 113 .
Sono ignote, invece, le origini dell'oratorio di Conscenti, dedicato ai santi Lorenzo e Bernardo. Al tempo di mons. Bossi (1582) l'oratorio era sede di una casaccia, erede, probabilmente, di una confraternita di Disciplinanti fondata forse negli ultimi secoli del Medioevo. Nel corso di restauri effettuati una ventina d'anni or sono venne alla luce un affresco seicentesco raffigurante una Crocifissione, al di sotto del quale si cela un altro dipinto, più antico, che rappresenta una Madonna col Bambino, opera, probabilmente medievale 114 .
Alla seconda metà del Quattrocento si vuole invece far risalire, senza riferimenti sicuri, l'oratorio di San Rocco di Zerli, che una leggenda vuole fondato da un cavaliere di Malta di passaggio in questi luoghi e che, comunque, compare negli atti della visita di mons. Bossi del 1582 115 . Esso rappresenta l'unico oratorio della valle ancora amministrato da una confraternita, erede delle associazioni laicali del Medioevo. Alcuni riti che vi si praticano ancora oggi dai confratelli sono probabilmente ereditati dalle confraternite medievali: la lavanda dei piedi e la processione con il Crocifisso, fino alla chiesa parrocchiale del Giovedì Santo e la distribuzione di focacce benedette con l'immagine del Santo titolare il giorno della sua festa.
Anche il piccolo oratorio di San Rocco di Cassagna, presso Nascio, recentemente restaurato, nella seconda metà del Cinquecento era sede di una confraternita di Disciplinanti 116 . L'edificio, costruito probabilmente nel corso del XVI secolo, era dedicato in origine a Santa Maria della Pietà, poi alla Natività della Vergine. Il sodalizio che lo amministrava si sciolse, senza lasciare traccia, agli inizi del Seicento, quando fu inglobato nella nuova confraternita del Rosario, eretta nel 1635 nella parrocchiale di Nascio 117 .
La maggior parte delle chiese succursali della valle, è costituita, comunque, da cappelle gentilizie edificate dalle famiglie egemoni del luogo, salite alla ribalta nel periodo che intercorre, all'incirca, fra la metà del Cinquecento e la metà del Settecento. Spesso esse vantavano pure il diritto di patronato su altari e cappelle anche all'interno delle chiese parrocchiali. Si trattava di famiglie, talvolta iscritte alla nobiltà, che, pur risiedendo stabilmente a Genova o nei borghi della Riviera, ed esercitando attività commerciali o mercantili, disponevano pure di numerosi possedimenti disseminati nella valle. Altre famiglie di possidenti appartenevano al cosiddetto "notabilato rurale" e, pur occupando un posto meno elevato nella scala sociale, risultavano più legate al contesto locale, nel quale hanno lasciato una traccia più profonda. In alcuni villaggi questo ceto di notabili sembra essere assente, sia perché l'agricoltura doveva essere meno sviluppata, per ragioni legate alla conformazione del territorio, sia perché l'economia locale era basata soprattutto sullo sfruttamento delle risorse minerarie. E' il caso dei villaggi di Statale, Nascio e Cassagna, nei quali lo sfruttamento delle miniere di vetriolo è documentato a partire dal tardo Cinquecento 118 . I personaggi più in vista delle rispettive comunità, in questi casi, dovevano essere rappresentati dai concessionari delle miniere, i Salineri di Genova e i Baratta, i quali, risiedendo in città non dovevano certo badare più di tanto all'abbellimento delle rispettive chiese parrocchiali. Non a caso, dunque, nelle chiese di Statale e di Nascio non esistevano altari o cappelle soggetti al patronato di privati. Rimangono da chiarire i rapporti che, probabilmente già alla fine del Cinquecento, ma soprattutto nel Seicento e nel Settecento legavano la potente famiglia genovese dei Cambiaso, ricchissima, ma ascritta alla nobiltà solo nel 1730, alla chiesa di Nascio, da essa dotata di arredi, purtroppo da tempo scomparsi e del caratteristico ponte in pietra che collega la vicina frazione di Cassagna.
Meriterebbe un approfondimento, non esauribile in questa sede, lo studio delle dedicazioni delle chiese succursali e degli altari delle chiese parrocchiali della valle, che fornirebbe interessanti indicazioni sui nessi fra devozioni, categorie sociali e gruppi gentilizi attestati in valle, nella Riviera e a Genova. Fra gli oratori di fondazione gentilizia ricordiamo solo quelli ancora esistenti e aperti al culto. La cappella di San Giovanni Battista di Botasi di Reppia, fondata nel 1654 dalla famiglia Raffo, che qualche anno più tardi acquisì pure il diritto di giuspatronato sulla chiesa parrocchiale, sorge sul luogo ove, in precedenza si trovava un oratorio dedicato a San Rocco, fondato dalla potente famiglia chiavarese dei Rivarola e ricordato in alcuni atti della fine del Cinquecento 119 . Nella parrocchia di San Pietro di Zerli, in località Gòsita, non lontano da una quercia secolare di notevoli dimensioni, sorge invece una cappella dedicata a Sant'Anna, fondata dalla famiglia locale dei D'Amico e già esistente nel 1746 120 . Nella vicina parrocchia di Santa Maria di Nascio, in frazione Isciòli, si trova invece un'altra cappella, costruita, probabilmente nel Settecento dalla famiglia Gandolfo, da tempo si è estinta, e pervenuta in seguito alla comunità. In origine era dedicata alla Madonna della Neve, oggi all'Immacolata Concezione 121 . Nella parrocchia di Santa Maria di Ne, infine, si contano tre cappelle: una dedicata alla Natività di Maria, in località Ponte di Gaggia, fondata nel Seicento e dotata dal rev. Gaspare Garibaldi, parroco di San Giovanni, a Chiavari. L'affresco sulla facciata, recentemente restaurato, raffigurante la Vergine con il Bambino che regge uno scettro, sembra riprendere l'iconografia di Maria regina di Genova e potrebbe essere una copia di quello esistente un tempo sulla facciata dell'antica cittadella di Chiavari 122 . Una delle altre due cappelle sorge in località Castagnola, fu fondata dalla famiglia Podestà e dedicata all'Immacolata Concezione, l'altra in località Castello, è dedicata a Sant'Antonio 123 .
Altre chiese succursali, pur appartenendo fin dalle origini alle rispettive comunità, non furono mai sede di confraternite. E' il caso della cappella di Santa Reparata detta "la nuova", edificata dagli abitanti della frazione di Tolceto (parrocchia di Caminata) in sostituzione della chiesa medievale, abbandonata agli inizi del Seicento 124 . Così pure la cappella di San Giovanni Battista e San Filippo Neri che sorge nella frazione di Terisso (parrocchia di Garibaldo) sostituisce la chiesa medievale di San Vincenzo, che sorgeva però, in posizione più elevata rispetto all'odierno nucleo abitato. Fu fondata, a quanto sembra, nel 1740 e dotata da alcuni notabili del luogo, che, però, non ne acquisirono mai il diritto di patronato 125 .
La presenza di un così gran numero di chiese e cappelle (usuale, del resto, nelle campagne italiane) testimonia da un lato l'intensità del sentimento religioso della popolazione rurale dei tempi passati, ma costituisce anche una prova indiretta dell'importanza dell'istituzione parrocchia dal punto di vista sociale, economico e culturale. Non dimentichiamo che, fino all'istituzione dei comuni rurali (1805) la parrocchia costituiva l'unica circoscrizione amministrativa, anche dal punto di vista civile, riconosciuta dall'autorità statale. Il campanile rappresentò per secoli il simbolo della comunità di villaggio, l'unica istituzione, nelle campagne, in cui trovavano ragion d'essere i sentimenti di identificazione, di appartenenza, di solidarietà.
Se la costruzione delle chiese rurali medievali è spesso dovuta a una committenza urbana, di livello sociale elevato, la chiesa rurale post-tridentina rappresenta quasi sempre il frutto di duri sacrifici da parte della popolazione che essa serviva. Valgano per tutti alcuni episodi. Da un'annotazione, stesa in un registro di cassa di una parrocchia montana della val Graveglia si apprende che, nel 1698 fu effettuata a Sestri Levante una raccolta di castagne secche a favore dei poveri di quella comunità (essendo essa situata nell'areale del castagno si può supporre che in quell'anno il raccolto sia stato assai scarso). I destinatari, però, vollero che la raccolta fosse posta all'incanto e il ricavato venisse destinato a favore della chiesa parrocchiale. Lo stesso accadde nel 1703 126 . Un altro parroco, verso la metà dell'Ottocento, scriveva: E se si è fatto qualche arredo sacro si è fatto coll'industria del Parocho, travagliando i giorni festivi, colla debita licenza, ed il Parocho, unitamente al popolo, ha fatto della calcina(...) . I ripari[alla chiesa] si fanno a misura delle forze, anzi più 127 .
Nel corso della carestia del 1816-17, che fu l'ultima a colpire le campagne italiane, un ignoto massaro dell'oratorio di San Rocco di Cassagna annotava che, nell'anno 1816 i suoi confratelli dovettero rinunciare alla tradizionale questua dei cereali che si effettuava in parrocchia a causa della scarsità e dovettero accontentarsi di qualche libbra di grano e di mistura che si riuscì a racimolare fuori dei confini della parrocchia. L'anno successivo non si ebbe neppure il coraggio di uscire a questuare per la grande miseria. Ciononostante, nel 1818, probabilmente in seguito ad un voto emesso nel corso dell'epidemia di tifo petecchiale che imperversò nelle campagne liguri al termine della carestia, furono eseguiti lavori di ampliamento della cappella e fu acquistata la statua lignea di San Rocco 128 .
A conclusione di questo lavoro è parso opportuno illustrare dettagliatamente due esempi di trasformazioni di cappelle medievali in chiese barocche:
La ricostruzione delle diverse fasi di intervento è stata effettuata mediante il confronto tra i dati offerti dall'abbondante documentazione disponibile e l'osservazione delle strutture in elevato, effettuata dallo scrivente nel corso di diversi interventi di restauro effettuati fin dai primi anni Novanta.
Per la ricostruzione della pianta degli edifici originari è stato prezioso il confronto con l'architetto Roberto Spinetto, cui vanno i più sentiti ringraziamenti per aver elaborato le planimetrie pubblicate a corredo di questo lavoro.
Ringraziamenti
L'Autore desidera ringraziare:
- il Direttore, mons. Enzo Freggia, il personale e i volontari degli Archivi Vescovili Lunensi e della Biblioteca "Niccolò V" di Sarzana;
- il Direttore dell'Archivio Diocesano di Chiavari don Andrea Borinato;
- Mons. Franco Isetti, direttore dell'Ufficio Liturgico Diocesano di Chiavari;
- i parroci dell'alta Val Graveglia (in ordine di tempo) Rinaldo Rocca e Maurizio Prandi;
- gli architetti Roberto Spinetto e Osvaldo Garbarino;
- Il Gruppo Ricerche Civiltà Ligure "Yvon Palazzolo".
Note
[1] Questo lavoro (aggiornato alla primavera del 2005, eccettuata la nota n. 43) rappresenta la rielaborazione di un intervento orale dal titolo "Luoghi di culto tra fede e storia in val Graveglia", presentato nella sala della Biblioteca Civica di Ne il 14 marzo 2001 e facente parte del ciclo di conferenze "Il Laboratorio della Fede", promosse dall'Associazione Culturale "Amici del Museo Diocesano" di Chiavari. L'architetto Osvaldo Garbarino ha curato la parte relativa al Medioevo, lo scrivente quella riguardante l'Età Moderna.
Il riordino degli archivi parrocchiali dell'alta val Graveglia, condotto da chi scrive nella seconda metà degli anni Novanta, e le ricerche effettuate, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, nell'archivio diocesano di Brugnato hanno consentito la raccolta di un notevole numero di dati, dai quali sono scaturite le conclusioni e le ipotesi esposte in questo lavoro. Non è stato possibile condurre, per mancanza di tempo, un'indagine altrettanto approfondita sul materiale documentario conservato negli altri archivi parrocchiali della valle. La diversa quantità di dati disponibili per le singole parrocchie ha influito, com'è facile intuire, sullo spazio riservato a ciascuna di esse. E' parso utile, comunque, rendere nota questa prima sintesi, rimandando ad altre eventuali pubblicazioni la stesura di un quadro più completo dell'argomento.
[2] Sulla decadenza dell'istituto plebano, manifestatasi fin dal XIV secolo in gran parte del territorio italiano, con l'eccezione di alcune aree, fra le quali la nostra regione, si vedano i contributi di G. PENCO, Storia della Chiesa in Italia. Volume I, Milano, 1978, pagg. 437 e 439; G. PISTARINO, Le pievi della diocesi di Luni, I, Collana Storica della Liguria Orientale, II, Bordighera-La Spezia, 1961.
[3] Negli ultimi secoli del Medioevo e in Età Moderna la val Graveglia non rappresentava un ambito geografico unitario, come del resto la val Fontanabuona. Con la dicitura "Territorio di Garibaldo", che ricalcava il distretto amministrativo dell'omonima "cappella", si indicavano le antiche pertinenze della pieve di Lavagna. Il toponimo Garibaldo è attestato fin dall'XI secolo nel Registro della Curia Arcivescovile di Genova (Garganum de Garibaldo compare a pag. 17 dell'edizione curata da L. T. Belgrano) ed oggi indica solamente la valle laterale percorsa dall'omonimo corso d'acqua. E' più recente, invece, l'uso di designare l'antico "Territorio di Garibaldo" con il nome Val Graveglia, ricalcato sul corrispondente idronimo. La prima attestazione nota a chi scrive compare in un atto notarile del 1404, in cui si accenna ad alcune terre situate in valle Gravelie, in parochia seu villa Zerli. G. ROCCA, Chiese, monasteri, oratori di Chiavari e della riviera da Genova a La Spezia. Volume II, manoscritto cartaceo della fine del XIX secolo conservato presso la Biblioteca della Società Economica di Chiavari, coll. 234, IV, 9, pag. 6 r. (atto del notaio Nicolò Rivarola del 28 gennaio 1404).
[4] Diocesi di Chiavari. Annuario 2001, a cura della Cancelleria della Curia Vescovile, pag. 25.
[5] Sulla fine della vita monastica a Borzone: L. GATTI, Diocesi di Chiavari, in Liguria monastica, vol. II de Italia Benedettina, Cesena, Badia di Santa Maria al Monte, 1979, pag. 77.
[6] Sulla crisi di metà Trecento, aggravata dallo Scisma d'Occidente e dalla Cattività Avignonese: R. S. LOPEZ, La nascita dell'Europa (secc. V-XIV), Torino, Einaudi, 1980, pagg. 427-433; G. PENCO, Storia della Chiesa in Italia. Vol. I, pag. 432.
[7] A. e M. REMONDINI, Parrocchie dell'Archidiocesi di Genova. Regione VIII - Valli di Garibaldo e di Sturla, Genova, 1889, pagg. 63-64.
[8] In attesa della pubblicazione dell'edizione critica di questo interessante documento, si rimanda a un contributo curato da chi scrive: M. CHIAPPE, Chiese medievali della diocesi di Brugnato in una visita pastorale del tardo Cinquecento. Ipotesi ricostruttive di edifici medievali scomparsi, in L'abbazia di Borzone. Verso la rinascita. Atti del II Seminario di Studi, Abbazia di Borzone, 10 maggio 2003, a cura di B. BERNABO', Accademia dei Cultori di Storia Locale, Chiavari, 2005, pagg. 39-98.
[9] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit. pag. 32.
[10] L'antica chiesa di San Biagio di Montedonico doveva sorgere sulle alture situate fra l'attuale parrocchiale di Garibaldo e il nucleo abitato di Conscenti, come si deduce da una mappa settecentesca, conservata nell'Archivio della Diocesi di Chiavari, rielaborata da Osvaldo Garbarino e pubblicata in questo numero della rivista. In uno stato d'anime conservato nell'archivio parrocchiale di Garibaldo, compilato dal parroco G. B. Raffo nel 1823, è segnato, nel quartiere di Conscenti, un gruppetto di case situate sul piano longo il fiume sotto la chiesa rotta.. Evidentemente a quell'epoca erano ancora visibili avanzi della vecchia chiesa.
[11] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 39.
[12] Su questo fenomeno, manifestatosi in ambito italiano fin dai secoli centrali del Medioevo: C. CIPOLLA, Comment s'est perdue la propriété ecclesiastique dans l'Italie du Nord entre le XI et le XVI siècle,in Annales, II, 1947, pagg. 312-327.
Un esempio locale è rappresentato dai beni della chiesa di Santa Reparata di Tolceto. Nei secoli XIV e XV essa possedeva diversi appezzamenti di terreno situati sui versanti del monte San Giacomo, confinanti con beni della famiglia Ravaschieri, dei Conti di Lavagna. G. ROCCA, Memorie dei Ravaschieri, manoscritto del sec. XIX conservato presso la Biblioteca della Società Economica di Chiavari, collocazione ms., 234, IV, 5, p. l r. e v. Tre secoli più tardi il suo patrimonio si era depauperato a tal punto da non consentire più il mantenimento del rettore. A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit.
[13] Su Domenico Garibaldi, da cui deriva il ramo della parentela detto dei Contini: L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero dell'Entella - Val di Graveglia - Cenni storici - Notizie naturali e civili, 2 voll., Chiavari, 1935, pagg. 162-163; M. ANGELINI, L'invenzione epigrafica delle origini famigliari (Levante Ligure, secolo XVIII), in Quaderni Storici, n. 93, anno XXXI (1996), fasc. 3, pagg. 659-664.
[14] Archivio della Diocesi di Chiavari, Filze Parrocchiali, Zerli, Supplica dei massari delle chiese di Zerli a mons. Domenico De Marini arcivescovo di Genova, 7 ottobre 1617.
[15] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit. pagg. 151-153; M. ANGELINI, L'invenzione epigrafica..., cit., pagg. 661-662.
[16] A. FERRETTO, I Primordi e lo sviluppo del Cristianesimo in Liguria,in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXXIX (1907), pagg. 819-820.
[17] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 412.
[18] G. ROCCA, Chiese, monasteri, oratori..., cit. Volume I, pag. 20 r., atto del notaio Nicolò Rivarola (1422). Supponendo, a titolo di mera ipotesi, che l'erudito ottocentesco che regestò il documento abbia letto Calino al posto di Salino la chiesa potrebbe essere stata ubicata nel nucleo abitato di Salino, poco lontano da Adreveno. Solo una verifica condotta sul documento originale potrebbe confermare questa ipotesi.
[19] Archivio Parrocchiale di Arzeno (d'ora in poi APA), Carte della vertenza fra le parrocchie di Arzeno e di Reppia per la divisione di alcuni beni della mensa parrocchiale, (metà sec. XVIII), 1573, gennaio, 19, Decreto di nomina di P. Lorenzo Riccetto a cappellano della chiesa di Arzeno; 1576, giugno, 17, Petizione dei massari e di alcuni capifamiglia di Arzeno diretta al Vescovo di Brugnato; 1576, giugno, 22, Lettera del Vescovo di Brugnato al Cancelliere Vescovile e al Rettore di San Nicolò dell'Isola di Sestri Levante; 1576, giugno, 25, Presa di possesso della parrocchia di Arzeno da parte di P. Lorenzo Riccetto, (copie della metà del sec. XVIII).
[20] APA, Carte della vertenza, cit., 1571, ottobre, 8, Il P. Gio. Maria Ravenna di Bassano di Pontremoli viene nominato rettore di Arzeno, in seguito alla rinuncia di P. Rocco Bertani di Compiano; 1571, Querela presentata dai massari della parrocchia di Reppia contro gli abitanti di Arzeno per danni causati alle terre della parrocchia di Reppia situate in Arzeno; 1572, settembre, 24, Monito diretto a P. Gio. Maria Ravenna affinché non vanti più diritti su alcune terre situate nella parrocchia di Statale contese con alcuni esponenti della parentela Pessagna (o Pesania) .
[21] In una memoria settecentesca si legge che, non molto prima del 1575, prete Lorenzo Ricetto per l'amicizia contratta col Sign. Giò Batta Midano Garibaldo andò ad abitar con esso e cambiò il nome di Ricetto in Garibaldo, ad instanza del sudetto Midano, che s'era denominato Garibaldo. Archivio Parrocchiale di Reppia, Carte della vertenza fra le parrocchie di Arzeno e di Reppia per la divisione di alcuni beni della mensa parrocchiale, (metà sec. XVIII), Memoriale presentato da Benedetto Gaetano Raffo, pag. 2. Sui fatti del 1575: C. COSTANTINI, La Repubblica di Genova,Torino, 1986, pagg. 101-122.
Sulle usanze vigenti nei clan famigliari fin dal Medioevo: J. HEERS, Il clan familiare nel Medioevo, Napoli, 1976; E. GRENDI, Profilo storico degli Alberghi genovesi, in Mélanges de l'école française de Rome, 87 (1975), I, pagg. 243-244.
[22] Archivio Vescovile di Brugnato (d'ora in poi AVB), Filze Parrocchiali, Arzeno, Decreto di conferimento della parrocchia al rev. Simone De Paoli, 1617.
[23] APA, Carte relative alla vertenza..., cit. Visita pastorale di mons. G. B. Paggi alla parrocchia di Arzeno e Reppia, 7-8 maggio 1657, copia della metà del XVIII sec. Nel 1739 il rettore di Arzeno, in una lista di registri parrocchiali presentata al Vescovo di Brugnato scriveva che i libri dei canoni, ipoteche, laudemi relativi ai beni della chiesa furono rubati nel 1653 simul cum aliis. AVB, Decreti Visite Pastorali, Lista dei libri parrocchiali di Arzeno, 1739, giugno, 14.
[24] G. PENCO, Storia della Chiesa. Volume II, cit., pag. 731. Nell'archidiocesi di Genova la creazione di nuove parrocchie rurali fu promossa in particolare dal cardinale Stefano Durazzo, arcivescovo di Genova dal 1635 al 1664. Sulla sua figura si veda il contributo di L. ALFONSO, Aspetti della personalità del cardinale Stefano Durazzo, in Atti della Società Ligure di Storia Patria,n. s. XII (1972) fasc. II, pagg. 449-515.
[25] APA, Carte relative alla vertenza... cit., Atti della visita dei revv. F. Ferrari e G. B. Samengo alle chiese di Arzeno e di Reppia, 15 dicembre 1685. La separazione fu confermata dal Vescovo di Brugnato l'anno successivo.
[26] P. Tomaini, Brugnato..., cit., pag. 340.
[27] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 437.
[28] A. FERRETTO, L'avventura di un chierico della valle di Garibaldo,in La Sveglia, 10 maggio 1925. Osvaldo Garbarino ha riscontrato la presenza di caratteri costruttivi analoghi riscontrabili nella chiesa di San Giovanni di Candeasco e in alcune chiese medievali della valle, riguardo ai quali si rimanda al suo contributo pubblicato in questo stesso volume. E' possibile che tale analogia sia dovuta alla presenza di maestranze affini, se non addirittura della stessa committenza, che potrebbe essere identificata nella famiglia de Camezana.
[29] In un atto del notaio Nicolò Rivarola del 23 febbraio 1408 prete Matteo da Napoli, accomendatario della chiesa di Sant'Apollinare di Reppia rilascia ricevuta di pigione di alcune terre. Un atto dello stesso notaio del 1412 contiene una locazione effettuata dallo stesso sacerdote, che risulta accomendatario delle chiese di Santa Maria e di Sant'Apollinare. Un terzo atto del notaio Giovanni Pietra Cervara del 7 giugno 1449 accenna a quattordici individui, che rappresentano i due terzi dei capifamiglia del villaggio, i quali eleggono sindico, procuratore e massaro della chiesa di Reppia certo Fotexinum de Prato, in ratificando dictam ecclesiam, in reparandam ipsam, etc. E' possibile che si tratti della chiesa di Sant'Apollinare, che, forse, era bisognosa di restauri. G. ROCCA, Chiese, monasteri, oratori... , cit., Volume III, pagg. 105 r. e v.
[30] Archivio di Stato di Genova, manoscritti n. 547, pag. 353.
[31] Ecclesia dirupta alias sub titulo Sancte Marie solo adequetur et ibi crux erigatur. Fragmenta predicte ecclesie Sancti Apollinaris reservavit. AVB, Visite Pastorali 1579-1686, Visita di mons. F. Mottini del 1611, s. p.
[32] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit. pagg. 39 e 44-47.
[33] G. PENCO, Storia della Chiesa in Italia. Volume II, Milano, 1978, pagg. 37-38.
[34] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pagg. 32-33.
[35] AVB, Decreti Visite Pastorali, Risposte del Parroco di Nascio al questionario per la visita pastorale del 1756.
[36] P. Tomaini, Brugnato..., cit., pag. 303. Si trascrive di seguito il documento, reperibile nell'archivio vescovile di Brugnato, Decreti Visite Pastorali.
Illustrissimus et Reverendissimus Dominus Dominus Ioannes Baptista De Dece,Dei et Apostolicae Sedis
Gratia Episcopus Brugnatensis et Comes, Clericus Regularis in praesenti visitatione Apuae detexit ex
Archivio Pontremuli, occasione inquirendi, notitiam Illustrissimi et Reverendissimi Domini Domini
Thomae Henrighini, Episcopi Brugnati sub anno 1418, adinvenit modo etiam Ecclesiam modo Sanctae Mariae
de Nascio fuisse tunc temporis Archipresbyteriam vallis et Plebis Sancti Iohannis de Nascio, et eius
Parochum fuisse Archipresbyterum insignem dictae Archipresbyteriae. Qua re, ne diutius titulus
latitet, eumdem declaravit, tam pro Ecclesia praedicta, quam pro Parocho in futurum et in saecula
saeculorum. Presentibus Antonio Maria Scarpento de Nascio et Paulo Bomio de Zirro, testibus,
instante etc.
Datum Pontremuli, die 23 Iunii 1692.
Ioannes Baptista Episcopus Brugnatensis C. R.
Antonius Maria Manganellus, notarius et cancellarius.
[37] AVB, Filze Parrocchiali: Nascio; APN, Carte sparse. Si riproduce di seguito il testo del documento.
Fidem facimus et attestamur nos infrascriptus Notarius deputatus ad Archivium Dominorum Notariorum rogitorum Pontremuli sicuti in instrumento transactionis secuto inter Dominos Ioannem Lodovicum Fliscum et Dominum Antonium Fliscum, Dominos Pontremuli, rogato per nunc quondam Curadinum quondam Geminiani Belmesserii de Pontremulo, Notarium publicum Pontremuli anno 1418, Indicione 15a, die 6a mensis februarii, inter alia scriptum reperitur ut infra, videlicet et omissis omnibus aliis et cetera videlicet contentis in dicto instrumento transactionis, ad quidem:"Actum Pontremuli in vicinia sancti Nicolai, in domo prelibati Domini Antonii de Flisco, presentibus Reverendo in Christo Patre Domino Thoma de Henreghini de Pontremulo, Episcopo Brugnatensi dignissimo D[ei] G[ratia], et ... Venerabili viro Domino Zanoto quondam Egidii Archipresbitero Plebis Sancti Iohannis de Naxscio et Spectabili et Egregio Viro Domino Antonio quondam Oliverii De Flisco, Lavanie Comite, testibus à dictis Dominis contrahentibus vocatis, adhibitis, rogatis".
Ego Victorius Uggerius, magna ducali auctoritate Notarius et Collegiatus Pontremuli, et unus ex dictis Dominis Notariis ad Archivium deputatis per fidem, etc. 1692, die 13 Iunii.
Extractum fideliter ex copia authentica per me infrascriptum Cancellarium. Ioannes Baptista Samengus, cancellarius.
[38] P. Tomaini, Brugnato...,cit., pagg. 302-303.
[39] A. SISTO, I Feudi Imperiali nel Tortonese (secc. XI-XIX), Torino, 1956, pagg. 32 e segg.
[40] P. Tomaini, Brugnato..., cit., pagg. 157-160.
[41] M. CHIAPPE, Materiali per una toponomastica storica del Tigullio, in Toponomastica Ligure e Preromana, a cura di R. CAPRINI, Genova, 2003, pagg. 81-120.
[42] B. BERNABO', I Conti di Lavagna e l'alta val di Vara, in I Fieschi tra Papato e Impero. Atti del Convegno. Lavagna, 18 dicembre 1994, Lavagna, 1997, pagg. 45-126.
[43] O. RAGGIO, Faide e parentelle. Lo Stato genovese visto dalla Fontanabuona, Torino, 1990, p. XV.
Un'ulteriore notizia, contenuta in un interessante lavoro, pubblicato nel 2006, conferma la tesi esposta e rappresenta un piccolo ma eloquente esempio della distinzione che è opportuno operare, in sede storiografica, fra la tradizione "della Chiesa", fondata su solide basi, e la tradizione "sulla Chiesa", spesso elaborata dalla storiografia locale e talora fondata su prove inconsistenti. Nella relazione della visita pastorale del 1755, stesa da mons. Domenico Tatis, vescovo di Brugnato, a proposito dell'arcipretura di Nascio si legge:
" La predetta chiesa ha il titolo di arcipretura concessole da Monsignor Giambata da Dieci sotto de i 23 giugno 1692 come da documento soscritto dal medesimo Prelato e dal quondam Norato Antonio Maria Manganelli allora cancelliere vescovile in Pontremoli; e per autenticare l'antichità di detto titolo viene prodotto altro documento da cui consta che sino dell'anno 1418 la parochia di Nascio godeva già del titolo di arcipretura coll'aggiunta di plebania; è vero però che tal documento fa l'enunciativa d'un vescovo di Brugnato che non solo non lo era in quel tempo, come osservasi dal catalogo, ma nemmeno vi sono notizie che lo sia mai stato ".
L'antica diocesi di Brugnato nelle visite pastorali dei vescovi Lomellini e Tatis, a cura dei volontari dell'Archivio Vescovile di Sarzana e Brugnato, Biblioteca "Niccolò V" - Sarzana - Fondazione CARIGE, 2006, pag. 258.
E' evidente, in base a quanto esposto, che non viene messo in discussione il titolo di arcipretura, concesso alla parrocchia nel 1692, ma la sua supposta origine tardo-medioevale.
[44] G. L. BRUZZONE, Da Dieci mons. G. B. , in Dizionario Biografico dei Liguri dalle origini al 1990. Volume IV, Genova, 1998, pagg. 134-135.
[45] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pagg. 427 e 430; P. Tomaini, Brugnato..., cit., pag. 303.
[46] Archivio di Stato di Genova, Raccolta Cartografica, n. 306, B 7. Nella carta compare il toponimo "Crocetta".
[47] O. GARBARINO, La chiesa di San Martino "del vento" o "de stubuellis", in I quaderni di Ivo, anno V, n. 5 (2001), pagg. 162-164.
[48] F. SASSI, L'ospedale e la cappella in Cento Croci di Varese Ligure, in Giornale Storico della Lunigiana, II, 1951, fasc. 1-2, pagg. 17-18.
[49] La tradizione locale, infatti, parla soltanto della derivazione delle due parrocchie dalla chiesa matrice di San Michele, senza precisare l'epoca in cui si sarebbero staccate da essa. Il resto, compresa la leggenda dei dodici candelieri di bronzo di cui si parlerà in seguito, è da ritenersi un'aggiunta del Tiscornia.
[50] A. FERRETTO, I Primordi..., cit., pagg. 750 e 753; P. Tomaini, Brugnato..., cit., pagg. 306.
[51] F. BENENTE, Incastellamento signorile e nascita delle fortificazioni genovesi: organizzazione e controllo del territorio nella Liguria Orientale, in La nascita dei castelli nell'Italia medievale. Relazioni preliminari del Convegno di Studi, Poggibonsi, 12-13 settembre 1997,Poggibonsi, 1997, pagg. 63-82.
[52] R. PAVONI, Signori della Liguria Orientale: i Passano e i Lagneto, in La Storia dei Genovesi, IX voI. degli Atti del Convegno Internazionale di Studi sui Ceti Dirigenti nelle Istituzioni della Repubblica di Genova, Genova, 7-10 giugno 1980, Genova, 1989, pagg. 451-454; Sulla chiesa di Piazza di Deiva si veda il volume: Santa Maria di Piazza. Culto, territorio e popolamento al crocevia di una chiesa millenaria, a cura di F. Benente, Quaderni della Tigullia. I, Chiavari, 2002.
[53] A. FERRETTO, I Primordi e lo sviluppo del Cristianesimo in Liguria,in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXXIX (1907), pagg. 754-755.
[54] Il 14 maggio 1560 il rettore di Nascio Antonio de Pichetis concedeva in locazione una terra della chiesa stessa situata nella villa di Cardeni, come risulta da un atto dal notaio Gerolamo Fenogetto. Archivio Parrocchiale di Nascio (d'ora in poi APN), Carte sparse, copia del notaio Giancarlo Andrea Lavaggi del 1701.
[55] AVB, Visita Pastorale di mons. Nicolò Mascardi del 1579, pag. 130.
[56] M. CHIAPPE, Chiese medievali della diocesi di Brugnato... cit., pagg. 39-98.
[57] In questo documento non manca qualche cenno a chiese, scomparse, come, ad es., quella di San Tommaso di Canterbury che sorgeva in località Sala, non lontano dall'abbazia di Sant'Adriano di Trigoso: Vidit ecclesiam sub titulo Sancte Thome omnino collapsam quod (sic) antea erat coenobium fratrum. AVB, Visite Pastorali 1579-1686, Visita Pastorale di mons. N. Mascardi del 1579, pag. 119.
[58] AVB, Decreti Visite Pastorali, Visita compiuta da P. Bartolomeo Rezano per conto di mons. C. Dadeo nel 1589, s. p.
[59] Archivio di Stato di Genova, Magistrato delle Comunità, n. 716, Caratata della Podesteria di Sestri Levante del 1612, Ordinaria di Statale, s. p. Come già si è avuto modo di accennare, le usurpazioni di beni ecclesiastici da parte dei privati, erano piuttosto frequenti nelle campagne del Genovesato tra Cinque e Seicento. Nella visita di mons. Mascardi del 1579 sono testimoniati numerosi esempi del genere in diverse parrocchie, fra cui quella di Statale: occupantur bona ecclesie et ablati termini inter bona dicte ecclesie. AVB, Visite Pastorali 1579-1686, Visita...,cit., pag. 119.
[60] Non essendo riuscito a rintracciare la notizia nelle pubblicazioni del prof. Mannoni, mi riferisco alla comunicazione orale presentata dallo stesso nell'ambito della conferenza dal titolo: "Quarant'anni di archeologia nel Tigullio", a cura di T. Mannoni e A. Frondoni, Chiavari, Salone della Biblioteca della Società Economica, 2 marzo 1996.
[61] Il toponimo Statale, infatti, è documentato, in forme diverse, fin dall'XI secolo. Il Registro della Curia Arcivescovile di Genova, a cura di L. T. Belgrano, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, II, p. II, 1862, pag. 296.
[62] Sulla diffusione delle confraternite dei Disciplinati in Lunigiana si veda il lavoro di: E. GENTILI, Una compagnia di "flagellanti" nella storia di Ortonovo, Biblioteca di "Le Apuane" n. 14, Massa, 1993.
[63] Si veda in proposito la pag. 19 di questo articolo.
[64] A conferma di tale affermazione basterà ricordare che, nel questionario per la visita pastorale del 1804 il parroco G. B. Bricca elencava le feste parrocchiali con le relative processioni. Fra queste non era compresa quella di San Michele. AVB, Decreti Visite Pastorali, Risposte ai quesiti per la visita pastorale del 1804. Si veda pure la relazione stesa dal medesimo nel 1821. AVB, Parrocchiali, Nascio, Relazione per la visita pastorale del 1821.
[65] AVB, Decreti Visite Pastorali, Relazione della visita pastorale di mons. G. L. Solari del 22 giugno 1804. La notizia è riportata nel lavoro di P. Tomaini Brugnato... cit., pag. 303: "In itinere brevem prius moram duxit in loco ubi vestigia adhuc existunt veteris parochialis ecclesiae sub titulo Sancti Michaelis Arcangeli effuditque ibi preces pro defunctorum animabus quorum ossa ibi requiescunt". La notizia sembrerebbe indicare, fra l'altro, l'esistenza di un cimitero accanto alla chiesa, segno che, un tempo, essa dovette esercitare funzioni parrocchiali, almeno per uno dei due villaggi vicini.
[66] AVB, Decreti Visite Pastorali, Foglio volante in aggiunta al questionario per la visita pastorale di mons. N. L. Lomellini del 1739.
[67] AVB, Decreti Visite Pastorali, Risposte al questionario per la visita pastorale di mons. D. Tatis del 1756.
[68] Si veda in proposito questo lavoro a pag. 18.
[69] La prima in cui compare è quella compilata per la visita pastorale del 1936. APN, Carte relative alla Curia Vescovile.
[70] Sulla riscoperta delle memorie del passato tra Sette e Ottocento: A. A. SETTIA, Erme torri e barbari manieri. Gli studi castellani tra gusto antiquario ed evocazione romantica: un esempio regionale, in Castelli e villaggi nell'Italia Padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli, 1984, pagg. 13-40.
Un caso analogo è rappresentato dalla narrazione delle origini della famiglia locale dei Garibaldi, elaborata fra Sette e Ottocento dall'erudito locale Carlo Garibaldi e passata in seguito a far parte del patrimonio orale della comunità locale, grazie anche alla sua inserzione nella monografia del Tiscornia. M. ANGELINI, L'invenzione epigrafica..., cit., pagg. 675-676.
[71] Sull'interessante figura di questo genealogista locale: M. ANGELINI, I libri per la famiglia di un erudito di provincia nel tardo Settecento, in Schede Umanistiche, 1994, n. 2, pagg. 108-137; IDEM, L'invenzione epigrafica..., cit.; I manoscritti di Carlo Garibaldi conservati nell'Archivio Parrocchiale di Pontori (Ne) e nelle Biblioteche dell'Università di Genova e della Società Economica di Chiavari sono stati esaminati dallo scrivente nel 1998-99. Ringrazio il parroco di Garibaldo don Agostino Queirolo per aver concesso di visionare i manoscritti.
[72] AVB, Visite Pastorali 1600-1796, Relazione della Visita Pastorale di mons. G. L. Solari del 1794.
[73] P. Tomaini, Brugnato..., cit., pagg. 398-399. Pare strano che tale iniziativa sia stata intrapresa dallo stesso mons. Solari, il quale, comunque, potrebbe averla appoggiata, dal momento che disponeva di contatti con l'ambiente degli eruditi della Società Economica chiavarese, della quale faceva parte. Si veda in proposito la nota n. 81.
[74] P. Fontana, Tra Illuminismo e Giansenismo: il Settecento, in Il cammino della Chiesa Genovese dalle origini ai nostri giorni, a cura di D. PUNCUH, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 1999, pagg. 361-401.
[75] A tale scopo, con l'appoggio delle autorità rivoluzionarie, il Degola tentò persino, senza consultare Roma, di far nominare un coadiutore con diritto di successione dell'Arcivescovo di Genova, scelto fra gli aderenti al movimento, coinvolgendo, suo malgrado, il vescovo di Brugnato Gian Luca Solari, alla cui opposizione va forse addebitato il fallimento dell'iniziativa. Cfr. P. Fontana, Tra Illuminismo e Giansenismo..., cit., pag. 392.
[76] La frase virgolettata è tratta dal lavoro di C. FARINELLA, Il genio della libertà. Società e politica a Genova dalla Repubblica Ligure alla fine dell'Impero napoleonico, in Storia della Cultura Ligure. Volume I, in ASLSP, n. s., XLIV (CXVIII) fasc. I (2004), pag. 160.
Un'accurata e vivace ricostruzione della vita della diocesi di Brugnato ai tempi dell'Impero napoleonico, sullo sfondo degli avvenimenti internazionali, è stata recentemente condotta sull'epistolario del card. Giuseppe Spina, una delle personalità di primo piano del mondo ecclesiatico e politico del tempo, che fu amministratore della diocesi di Brugnato dal 1815 al 1820, conservato nell'Archivio Vescovile di Brugnato. R. FRANCESCONI, Brugnato nelle lettere del card. Giuseppe Spina, Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia, Biblioteca "Niccolo' V", Sarzana, 2004.
[77] Michelangelo Cambiaso (1737-1813) compì gli studi a Roma, presso il Collegio Romano, per intraprendere la carriera ecclesiatica. Abbandonato questo proposito e tornato in patria, abbracciò la carriera politica, mantenendo contatti con ambienti giansenisti e riformatori che aveva conosciuto fin dagli anni di studio a Roma. Conobbe fra gli altri il vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci, con il quale intrattenne una corrispondenza epistolare. La sua biografia è ricostruita da E. PAPONE, Cambiaso Michelangelo, in Dizionario Biografico dei Liguri, dalle origini al 1990. Volume II, Genova, 1994, pagg. 425-426. Parte del suo epistolario è pubblicata da E. CODIGNOLA, Carteggi di giansenisti liguri. Volume I, Firenze, 1941, pagg. 609-612.
[78] La costruzione del ponte fu finanziata dai fratelli Giovanni Maria e Francesco Gaetano Cambiaso (e dal figlio di lui, Michelangelo) in ossequio alle disposizioni testamentarie del fratello Santino. Ecco il testo dell'iscrizione:
D.O.M. / IOANNI MARIAE FRANCISCO CAIETANO / ET MICHAELI ANGELO CAMBIASIIS / PATRICIIS GENUENSIBUS / QUOD SANCTINI FRATRIS / PIETATE CLARISSIMI / SUPREMAE VOLUNTATI OBSEQUENTES / MONTIBUS UTRINQUE PONTE CONIUNCTIS / OPERE MUNIFICENTISSIMO / INVIAS INTERFLUO TORRENTE / NAXII PARTES / PRAESENTISSIMO INCOLARUM COMMODO / PERVIAS FECERINT / NAXII GENS GRATI ANIMI PLENA / OPTIME MERENTIBUS / POSUERE / ANNO MDCCLVI.
La costruzione del ponte fu uno degli ultimi esempi di munificenza dell'influente e ricchissima famiglia genovese, legata alla parrocchia di Nascio da vincoli che non conosciamo (forse connessi con lo sfruttamento delle miniere della zona, documentato fin dal tardo Cinquecento). Giovanni Battista Cambiaso, figlio di Giovanni Maria fu doge dal 1771 al 1772 e finanziò la costruzione di una nuova strada che, attraverso la val Polcevera, univa Genova a Novi Ligure. E. PAPONE, Cambiaso G. B. , in Dizionario Biografico dei Liguri... Volume II,cit., pagg. 419-420.
[79] Tale prassi, a quell'epoca, non era inusuale. L'esempio forse più famoso è rappresentato dal culto di San Napoleone, promosso in quegli anni dagli ambienti filoimperiali con l'appoggio della Chiesa Gallicana, ma non approvato da Roma riesumando la memoria di uno sconosciuto martire greco, San Neopolis, il cui nome fu trasformato in quello dell'Imperatore. Si veda in proposto la relativa voce nella Bibliotheca Sanctorum. Volume IX, Roma, 1967, pagg. 1716-718.
[80] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 100.
[81] Il rettore di Arzeno Anton Maria Raffo figura iscritto alla Società Economica di Chiavari fin dal 1793-94 assieme ad altri parroci del circondario di Chiavari, tra i quali il rev. Carlo Domenico Dal Pino, prevosto di Borzonasca, che forse era parente del parroco di Nascio Domenico Dal Pino. Nel 1795 si aggiunse pure il priore di Reppia Anton Maria Fortunato Raffo. Catalogo de' socj della Società Economica del territorio di Chiaveri dell'anno 1793 in 94; Idem per il 1795.
[82] Si vedano, in proposito, i registri parrocchiali conservati presso i relativi archivi.
[83] Si vedano le carte relative a una vertenza con una famiglia di Arzeno (1785 circa), conservate nell'APA, carte confluite, archivio della famiglia Beronio di Arzeno.
[84] Si veda la serie di lettere conservate nell'AVB, Decreti Visite Pastorali, Lettera dei maggiorenti della parrocchia di Arzeno del 29 maggio 1804. Altre lettere, relative alla medesima questione, sono conservate nella stessa filza.
[85] M. ANGELINI, I libri per la famiglia..., cit., pag. 109.
[86] AVB, Decreti Visite Pastorali, Petizione dei possidenti della parrocchia di Arzeno per ottenere il ripristino delle insegne canonicali a favore del parroco di Arzeno, 29 giugno 1804. Per la sua opera Compendio della Storia di Chiavari, Genova, 1853, pubblicata dopo la sua morte dal figlio Raffaele, Carlo Garibaldi utilizzò vari documaenti conservati nel fondo "Archivio Segreto" dell'Archivio di Stato di Genova. Valga per tutti quello del 1453 citato a pag. 71, reperibile nello stesso fondo, n. 1794, pag. 490 v.
[87] Così annota il parroco Antonio Sturla. APA, Libro delle Deliberazioni della Fabbriceria, 1899-1989, ad annum. A quanto pare la leggenda relativa alle origini della chiesa doveva essere stata recepita a livello locale, se nella monografia di L. B. Tiscornia, pubblicata due decenni più tardi, si accenna ad essa, senza avvalorarla eccessivamente: "l'origine di questa chiesa si vuole anteriore al Mille, o giù di lì". L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 432. Nel 1813 ricopriva la carica di rettore il già ricordato Antonio Maria Raffo, membro della Società Economica di Chiavari e, quindi, legato all'ambiente degli eruditi locali.
[88] Lo stesso Carlo Garibaldi, nei suoi manoscritti, commette lo stesso errore e così un ignoto esponente della famiglia Raffo di Reppia che ci ha lasciato una sommaria descrizione delle chiese della valle di Garibaldo sul finire del XVIII secolo (Il manoscritto si trova in possesso dello scrivente). Tale equivoco potrebbe essere stata favorito dalla famiglia Parma, fondatrice della cappella, per aumentarne in qualche modo il prestigio, allo scopo, forse, di rafforzare eventuali rivendicazioni di autonomia nei confronti della chiesa parrocchiale di Caminata, di più recente fondazione. Sulla cappella di Santa Reparata la nuova si veda questo lavoro a pag. 20.
[89] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 80. Del resto, i due zelanti e illuminati sacerdoti avevano già avanzato seri dubbi circa l'autenticità delle lapidi della chiesa parrocchiale di Pontori e la presunta datazione della vicina chiesa di San Paolo di Cerré al 76 d. C. (sic!). Un secolo più tardi Massimo Angelini ha ricostruito le vicende che portarono all'elaborazione delle iscrizioni e della leggenda ad esse collegate da parte di una singolare figura di erudito locale del Sette-Ottocento: il medico Carlo Garibaldi di Pontori. A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pagg. 31, 32 e 44; M. ANGELINI, L'invenzione epigrafica..., cit.
Ancora il Tiscornia, a proposito dei ruderi di Santa Reparata scriveva:
"La chiesa antica di santa Reparata sorgeva al di sopra di Tolceto superiore. Fu demolita [...] il tempo ha poi consumato anche le ultime vestigia".
Segno che l'esistenza dei ruderi era pure a lui ignota. L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 422.
[90] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 430. Fra l'altro l'autore definisce tale divisione otto volte secolare dopo aver detto che le parrocchie di Nascio e di Statale si sarebbero separate solo verso il 1565.
[91] Archivio Parrocchiale di Statale, Inventario del prevosto G. B. Scannavino, 1936, s. coll.; Archivio Parrocchiale di Nascio, Inventario dell'arciprete T. Barani steso in occasione della visita pastorale di mons. G. Costantini del 1936. Quest'ultimo parroco ne segna cinque e mezzo forse perché uno di essi era rotto.
[92] Si vedano, per es., gli ordini relativi alle chiese di San Michele di Osti, San Vincenzo di Terisso e Santa Giustina di Sambuceto e Sant'Apollinare di Reppia. ASG, manoscritti n. pagg. 353, 354 e 357.
[93] Candelabra quatuor, duo auricalcea et duo lignea. AVB, Visite Pastorali 1579-1686, Visita di mons. N. Mascardi del 1579, pag. 14.
[94] C. BORROMEO, Instructionum fabricae et supellectilis ecclesiaticae libri II. Mediolani, 1577. Sull'arredo sacro nelle chiese della diocesi di Brugnato all'indomani del Concilio di Trento è in corso di elaborazione uno studio da parte dello scrivente.
Durante l'Alto Medioevo, per l'illuminazione dell'altare, ai candelieri si preferivano lampade o lampadari. I candelieri, usati di rado, venivano collocati a terra, davanti, dietro o attorno all'altare. Il loro numero variava da due a sette, secondo una consuetudine monastica. L'uso di porre due candelieri a lato della croce sulla mensa dell'altare risale al sec. XI. Prescritto, in seguito, da Innocenzo III, divenne generale a partire dal XIII secolo, fino al Concilio di Trento. M. RIGHETTI, Storia liturgica. Volume I,Milano, 1950, pag. 451; Enciclopedia dell'Arte Medievale. Volume IV, Roma, 1993, s. v. Candelabro, pagg. 121-122.
[95] AVB, Visite Pastorali 1579-1686, Visita di mons. N. Mascardi del 1579, pag. 121; Visita di mons. Nicolò Mascardi del 1581, pag. 374.
[96] AVB, Decreti Visite Pastorali, Inventario del parroco Bartolomeo Molinari, cit.
[97] Archivio Parrocchiale di Nascio, Registro dei cresimati e dello stato delle anime dal 1661 al 1696, s. p.
[98] AVB, Decreti Visite Pastorali, Visita compiuta da prete Bartolomeo Rezano per conto di mons. C. Dadeo, 26 novembre 1589.
[99] Archivio Parrocchiale di Statale, Carte sparse, Inventario privo di data, ma della fine del XVIII secolo.
[100] L. SAGINATI, Aspetti di vita religiosa e sociale nelle campagne liguri: le relazioni al magistrato delle Chiese Rurali, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, n. s. XIX (1979), fasc. I, Genova, 1979, pagg. 229-300.
[101] ASG, manoscritti n. 547, pagg. 344 r. e 345 v.
[102] L. B. TISCORNIA; Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 424.
[103] ibidem,p. 438.
[104] Si confronti in proposito la nota n. 68.
[105] Nel 1756 il parroco di Statale scriveva che nel maggio1755 mastro Angelo Cagliada stabilì chiesa e campanile. AVB, Decreti Visite Pastorali, Risposte del parroco di Statale ai quesiti per la visita pastorale del 1756.
A proposito del campanile, dichiarato monumento nazionale nel 1937 si veda il relativo decreto del Ministero della Cultura e dell'Educazione Nazionale conservato nell'archivio della parrocchia. Sulle presunte origini fliscane della torre: P. Tomaini, Brugnato..., cit., pag. 307.
[106] Si veda la nota, stesa da un contemporaneo dei fatti, certo Silvestro Apollinare Raffo di Botasi di Reppia in un volume dell'archivio famigliare, conservato presso l'archivio parrocchiale di Reppia.
[107] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 54.
[108] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pagg. 76-77.
[109] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 38.
[110] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 39.
[111] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 471.
[112] Sulla derivazione delle Confraternite liguri dai movimenti medievali si veda l'ampio e documentato studio di F. FRANCHINI GUELFI, La diversità culturale delle confraternite fra devozione popolare, autonomia laicale e autorità ecclesiastica, in Storia della Cultura Ligure,. Volume I, cit., pagg. 401-431.
[113] R. BRUSCHI, S. LEBBORONI, Ritratto di Cogorno, Genova, De Ferrari Ed., 2000, pagg. 286-298.
[114] R. LAGOMARSINO, Misteriosi occhi a mandorla svelati da un antico affresco, in Il Giornale, 6 novembre 1987. L'iconografia della Madonna col Bambino, si ritrova in alcune opere dipinte per gli oratori dei Disciplinati, come una Madonna col bambino del XIV secolo proveniente dall'oratorio di Moneglia: Il Museo Diocesano di Chiavari, a cura di G. ALGERI, Genova, 1986, pagg. 17-18.
[115] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 69; P. CASTELLINI, Compendio della vita di San Rocco, con cenni storici tradizionali sul/'oratorio dedicato al glorioso eroe nella parrocchia di Zerli, Lavagna, Tip. Artigianelli, 1926.
[116] Nella visita pastorale di mons. Stefano Baliano del 1593 si accenna alla domus fratrum disciplinantium situata nella parrocchia di Nascio. AVB, Visite Pastorali 1579-1686, Visita di mons. S. Baliano del 1592-93, pagg. 21 v. e 22 r.
Dai decreti di una visita pastorale del 1617 si apprende che nell'oratorio era conservato un crocifisso, forse usato per le processioni penitenziali in uso a quell'epoca presso le confraternite e oggetto di venerazione da parte dei fedeli: Si ritiri indietro la lampada davanti al crocifisso perché non impedisca dalla devozione le persone. Il crocifisso non è però ricordato nella visita del 1579, nella quale si accenna solo a una croce dorata posta sull'altare. AVB,Visite Pastorali 1579-1686, Visita di mons. N. Mascardi...,cit., pag. 123; Visita di mons. F. Mottini del 1617, Oratorio di Santa Maria della Pietà di Cassagna, s. p. Nel 1656 l'oratorio risultava dedicato alla Natività della Vergine. Si veda in proposito la nota n. La dedicazione a San Rocco, che in seguito si sostituì a quella primitiva compare per la prima volta nel 1589. AVB, Visite Pastorali 1579-1686, Visita di P. B. Rezano per conto di mons. C. Dadeo, cit.
[117] Si vedano i registri di tale confraternita conservati nell'archivio parrocchiale.
[118] A. FERRETTO, Il distretto di Chiavari, preromano, romano e medievale. Parte II, in Atti della Società Economica di Chiavari (1979-1982), Chiavari, 1983, pagg. 45-51.
[119] Archivio Parrocchiale di Reppia, Raccolta di documenti relativi alla cappella di San Giovanni Battista di Botasi.
[120] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 69.
[121] P. Tomaini, Brugnato..., cit., pag. 303.
[122] G. PESSAGNO, La cittadella di Chiavari, in Gazzetta di Genova,LXXXIII (1915), n. 5, pagg. 7-10.
[123] L. B. TISCORNIA, Nel bacino imbrifero..., cit., pag. 398.
[124] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 77.
[125] A. e M. REMONDINI, Parrocchie..., cit., pag. 40.
[126] "Per elemosine di castagne prese à Sestri per doversi distribuire à poveri della presente villa, quali poveri ne fecero un dono alla chiesa e si sono vendute all'incanto per lire 28". L'annotazione relativa al 1703 appare meno esplicita e lascia spazio ad altre ipotesi: "Fu fatta una elemosina di fave in Sestri alli poveri di questa villa, quali poveri si contentarono si vendessero in utile della chiesa". APA, Registro di cassa della masseria 1692-1749, ad annos.
[127] AVB, Risposte del rettore di Arzeno Bartolomeo Rossi al questionario per la visita pastorale, s. d. ma 1840 circa.
[128] APN, Registro della masseria dell'oratorio di San Rocco di Cassagna (1804-1881), ad annos. Nell'anno 1817 è segnata la spesa della cera per la fonzione a cagione del male contagioso. Dal registro risulta pure che il 7 giugno 1818 il notaio Domenico Roscelli di Bargone rogò il contratto fra i massari della cappella e un artigiano locale, certo Tomaso Loero, per il prolungamento del coro della cappella stessa, che costò lire 500. Contestualmente si stipulò un altro contratto con uno scultore per la realizzazione della statua lignea di San Rocco, che costò lire 400. Nello stesso anno, in occasione della festa del Santo, fu comprata una nuova pisside. L'anno successivo furono acquistate le pilastrate della porta principale della cappella. E' curioso che, nei conti relativi al 1841, sia segnata sotto la stessa voce la spesa per il trasporto dell'altare indietro e per il trasporto [della festa] del Santo all'ultima domenica d'agosto.
A quanto pare anche la carestia del 1817 colpì il territorio ligure in maniera selettiva, come si deduce da un confronto con i registri parrocchiali di San Biagio di Garibaldo e San Lorenzo di Arzeno. In quest'ultima parrocchia si registra solamente una flessione del quantitativo di cereali raccolti pari al 30% di quello registrata nelle annate precedenti, ma per la prima e unica volta in tutto l'Ottocento, accanto ai cereali compaiono le patate, a causa del mancato raccolto di castagne che si verificò in tutta la Liguria montana. APA, Registro di cassa della masseria 1749-1850, ad annum. Sulla carestia del 1817: M. PORCELLA, Clero e società rurale nell'entroterra appenninico, in Storia d'Italia. Le Regioni dall'Unità ad oggi, Torino, 1994, pag. 557.
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Pagina pubblicata il giorno 11 febbraio 2008
(ultima modifica: 25.02.2008), letta 15445 volte
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