Valdaveto.net > Usi, costumi, tradizioni, racconti e leggende > Raccolta di articoli apparsi su 'Il Giornalino della Val Vobbia' > Mestieri scomparsi: i resegotti
di Maria Ratto
articolo tratto da Il Giornalino della Val Vobbia (n° 9, primavera 1996)
Quando vediamo, nelle moderne segherie, i carrelli trasportatori che portano i tronchi
sotto le seghe elettriche e in poco tempo uscirne assi regolari, tutti dello
stesso spessore, che vengono accatastati per la stagionatura, tutti uguali l'uno
all'altro, perfetti
nella dimensione e nella forma, ci pare impossibile che
siano esistiti, fino a non molto tempo fa, uomini che questo lavoro lo facevano
a mano, con notevole fatica, con molto sacrificio e anche con molto
ingegno.
Erano i segantini, conosciuti da noi come "reseghetti".
Era un
lavoro che si svolgeva soprattutto d'inverno, stagione morta per gli altri
lavori, quindi con freddo e gelo. Infatti certi legni non si potevano segare se
non erano gelati. Valga per tutti il pioppo che essendo molto filamentoso non
poteva essere segato se non quando era reso duro dal freddo. Se il pioppo non
era gelato la sega non scorreva. Dal pioppo si ricavavano non solo assi ma anche
listelli ai quali appoggiare le tegole dei tetti, Si segavano soprattutto
tronchi di castagno, legno prevalente nella nostra zona, ma qualunque legno era
valido per ottenere assi per fare mobili e doghe per fare le botti.
Un paese
che aveva molti segantini era Bogli in val Boreca (Trebbia). Essi si recavano a
fare il loro lavoro anche fuori del loro Paese, anche perchè esso poteva offrire
poche altre possibilità di lavoro. In Val Vobbia non c'era frazione che non
avesse i suoi resegotti. A Croce era famoso un certo Ginisio che era molto abile
e si prestava ad andare dovunque e ad aiutare chichessia anche perché per lui
era un problema cucire il pranzo con la cena e spesso... non ci riusciva.
La
sega era lunga circa un metro e mezzo, posta in un telaio di legno rettangolare
con maniglie sia nella parte superiore che in quella inferiore.
Si doveva
cercare un luogo apposito in genere un ripiano con un muro o un salto, sul quale
appoggiare il tronco o "biggio" e assicurarvelo perché non si muovesse.
Il
tronco veniva prima ripulito della corteccia e squadrato piuttosto
approssimativamente.
Il tronco, prima di essere segato veniva segnato con un
filo di lana greggia intinta nel colore rosso, "a lignea". Questo filo veniva
assicurato ai due capi, poi pizzicato in modo che esso con il suo colpo
lasciasse una traccia perfettamente diritta. Su questa riga doveva passare la
sega. Il segantino più bravo stava nella parte superiore e doveva guidare il
taglio, l'altro nella parte inferiore e... si prendeva purtroppo anche la
segatura in testa.
Quanta fatica nel tirare la sega, nel preoccuparsi che il
taglio fosse diritto! Quando i tagli erano finiti da una parte si girava il
tronco e si cominciava dalla parte opposta.
Quante botti sono state costruite
con le doghe preparate dai "resegotti"! E allora ce ne volevano di botti perchè
di uva ce n'era tanta!
E quanti mobili, casse, letti, tavole, porte,
finestre, solai, tutti fatti con legno locale ridotto in assi e in travi dai
nostri "resegotti"!
Ora che tutto si svolge meccanicamente sembra impossibile
che fino a non molti anni fa si facesse tanta fatica per ottenere il legno
necessario per la casa e per gli attrezzi indispensabili alla vita che vi si
svolgeva.
Links
Pagina pubblicata il 4 maggio 2005, letta 9491 volte dal 23 gennaio 2006
Per esprimere un commento su questo articolo si prega di contattare la redazione via e-mail