Valdaveto.net > Profilo personale di Sandro Sbarbaro > Fiabe > Le ragazze di Ota-lì e il lupo




Le ragazze di Ota-lì e il lupo

di Sandro Sbarbaro

In qualche parte del mondo, era un paese chiamato Ota-Lì.
In quel luogo i fiumi eran fanciulli, che si aggiravano saltellano tra le rocce del greto, ed i monti panciuti signori la cui barba, formata dalle faggete, si scomponeva all'alitare del vento che spirava da Nord.
Nei pascoli si aggiravano pigre ed insoddisfatte mucche dai nomi gentili.
Stellina, Bimba, Fiorina, Mora erano i nomi più usati, tal era l'amore dei contadini nei loro confronti, che le amavano, forse, più delle mogli e dei figli.
Qua e là il verde dei pascoli era traforato dalle tane delle talpe, che, come ingegneri ciechi, provavano e riprovavano, scavando terra, la costruzione della città labirinto.
I leprotti zigzagavano felici su e giù per i pendii e solo la vista del contadino e del fido cane li vedeva fuggire come impazziti, orologi cui sono saltate le molle.
Si fermavano, poi, chissà dove, acquattati in qualche fosso, con nella testa il rullare di tamburo che faceva il loro cuore.
I cavalli ed i muli che nei pascoli, delimitati da muretti a secco, brucavano svogliatamente, avevano scarti improvvisi, come chi sia assalito da un cattivo pensiero, oppure si gettavano a terra per una strana danza sul dorso.
Le bisce si aggiravano tra le ginestre, con aria da finte ingenue, in cerca di uccellini da incantare.
Le vipere sbuffavano ostili, tra le pietre, al passaggio del viandante che aveva loro rotto il sonno.
Le trote, del torrente, facevano gare di tuffi in cielo alla ricerca di insetti plananti sull'acqua a mo' d'aliante.
Sugli alberi, disposti in prospettive a casaccio come su quadri astratti, gli uccellini facevano dei versi, facendo capolino tra i rami, oppure frullavano l'aria alla ricerca del nascondiglio.
In quest'atmosfera di bucolica decadenza, vivevano due fanciulle dai capelli biondi, come le spighe del grano, ed i denti bianchi come chicchi di riso.
Vivevano al limitare del villaggio in una gran casa bianca, chiamata "La casa sul prato".
Sul prato trascorrevano buona parte della giornata, affaccendate a sferruzzare nella fabbricazione di maglioni dalle fogge inconsuete. Loro maestre erano state le fate del "bosco del lupo".
Detto bosco era così nominato perché vi si aggirava un vecchio lupo, ormai quasi senza più denti, ma ancor terror dei contadini. Spesso, si è giudicati per ciò che si è stati dimenticando l'attualità.
Le due fanciulle, recatesi un dì a raccogliere more, senza accorgersene si erano addentrate nel bosco proibito, distratte dal racconto di storielle ilari che gustavano con aria di gran complicità.
All'improvviso apparve il lupo, mentre si accingevano a cogliere grosse more intonse.
Era un bell'animale dall'aspetto fiero, nonostante l'età, dal pelo tendente al grigio-nero, con due occhi giallo-verdi assassini.
Le fanciulle proruppero in una risatina nervosa, dettata dalla paura, e il lupo, che le fissava incerto, all'improvviso si mise a guaire e si accovacciò a terra come un cane bastonato.
Rinfrancatesi un poco, le ragazze, si avvicinarono timorose all'animale, poi visto che pareva implorare aiuto, attraverso i languidi occhioni, presero ad accarezzarlo sulla testa come si fa con un cagnone, che ha fatto una marachella.
Il lupo raccontò loro la sua storia. Un tempo, era il figlio del tesoriere del re. Quest'ultimo invaghitosi di una maga, all'insaputa del sovrano, stava dilapidando il tesoro di corte.
Il figlio affrontò la maga, per allontanarla dal padre che per lei stava infangando la memoria della sua mamma e l'onore diventando un ladro.
L'astuta maga promise che si sarebbe ritirata in buon ordine e a conclusione del patto lo invitò a bere, in segno di pace.
La bevanda era un filtro magico e il poveretto si tramutò in lupo.
Terrorizzato, fuggì lontano dal territorio del re, finché giunse, dopo aver valicato catene di monti, nel paese d'Ota-lì, ove si rifugiò nel bosco che poi prese il suo nome.
Da quell'incontro, in poi, le ragazze si recarono spesso nel "bosco del lupo", con la scusa di cogliere more, oltrepassavano i limiti di sicurezza ed entravano nel bosco proibito.
Il lupo, raccontava loro, le sue esperienze alla corte del re.
I segreti della vita di una città, le feste al palazzo del re, le sete e i broccati che indossavano le principesse al gran ballo, i gioielli, le acconciature, quali fossero i principi: se alti, biondi o mori, e gli occhi, le mani e onde vivessero.
Infine, pur non essendovi mai state, conoscevano a memoria la città, di là dai monti in riva al mare, dove aveva vissuto un giorno il vecchio lupo.
Un giorno all'improvviso il lupo morì. Le fanciulle, affrante, stavano dando a Lui degna sepoltura, quando, su un ramo, apparve la "Fata Curiosa", una fatina buffa, con un cappello verde a sghimbescio sulla testa biondo cenere.
Le invitò a non seppellirlo, perché altrimenti sarebbe "morto per sempre".
Il rimedio consisteva in un maglione dalla foggia desueta da fargli indossare ad un anno dalla scomparsa.
Consigliò le fanciulle di avvolgerlo, in una coperta di lana e sistemarlo nella cavità di un grosso tronco di faggio, dove l'avrebbero poi recuperato, per sfatare l'incantesimo.
"Fata Curiosa" presentò alle fanciulle la "Fata Solitaria", che aveva un faccino pallido su cui stavano accampati alcuni brufoli.
Quest'ultima consigliò alle fanciulle di intessere diversi "maglioni magici", con la lana che le pecore avrebbero lasciato appiccicata ai rovi del bosco.
Doveva esser colta al plenilunio, altrimenti senza il "bagno magico" della Luna, la lana non avrebbe avuto alcun potere.
Pur fra molte apprensioni, si giunse a compiere l'anno.
Le fanciulle tornarono nel bosco con i "maglioni magici" che avevano confezionato.
N'avevano già provati molti, ma la carcassa del lupo rimaneva tale.
Infine, indossato un maglione bianco latte, l'animale ebbe un sussulto e si trasformò in un bel giovane dai lineamenti fini, con una leggera balba incolta sul viso abbronzato.
Il giovane per ricompensa, condusse con sé le ragazze nella città di là dai monti lungo il mare.
Introdotte dal giovane a corte, non ebbero difficoltà a stringere amicizia con le principesse della corte, ben presto i maglioni da loro ideati andarono a ruba.
Ogni estate, però, stanche del gran ritmo che serpeggia per la città, ritornavano al paese d'Ota-lì, e tornavano improvvisamente felici.

(1989/2004)



Pagina pubblicata il 1° settembre 2004, letta 6354 volte dal 23 gennaio 2006

l'ambito delle celebrazioni del 'Novecentesimo anniversario della Fondazione del Monastero di Villa Cella', realizzai (gennaio 2000) un breve saggio dal titolo 'Il Mistero di Villa Cella'.
Intorno al 25 marzo 2000 realizzai, sempre su indicazione del Sindaco Silvio Cella, un breve saggio dal titolo 'Luoghi di interesse storico in Val d'Aveto (Comune di Rezzoaglio)'.

Luoghi di interesse storico in Val d'Aveto (Comune di Rezzoaglio)


Il saggio fu inviato all'allora Assessore alla Cultura della Provincia di Genova Maria Paola Prefumo, nell'ambito di una richiesta di finanziamenti attraverso i quali attuare importanti restauri in occasione del Giubileo 2000.

In tale saggio, parlando di strade antiche, scrivevo:
[...] Però noi aggiungiamo che analizzando la famosa Tavola Peutingerian e la deviazione, dopo Luni e Boron (ovvero l'attraversamento della Val di Vara), in Alpe Pennino, non possiamo fare a meno di pensare, al contrario di molti storici, che il passaggio in Alpe Pennino sia quello della zona del monte Tomarlo (o Tomar) nella catena del Monte Penna che è appena sopra la villa di Santo Stefano d'Aveto con la conseguente discesa verso Pievetta o verso Caselle per traversar l'Aveto e dirigersi ai passi su accennati.
A conferma di questa ipotesi cito un brano tratto dalla Relazione di Giulio Maratti ad Antonio Doria del 1549 riguardo al: "Confine d' la Iur.one di Santo Stefano" che recita " [...]
Da una parte Giurisditione de Taro de M. Manfredo Revaschiero mediante la cima del monte appellato la Pennanome corotto perché trovo che l' hè il monte Apenino ".
E altresì riproduciamo un estratto da "Visita de confini del Comis.° di Compiano dell'anno 1708 del mese d'Ottobre" che giace in Archivio di Stato a Genova fra le Filze del Col. Ing. Matteo Vinzoni, che si occupò a più riprese del problema dei confini, e che così recita: "...fatta la visita de i Confini di Compiano, e di Santo Stefano del Prencipe Doria à dì 18-8. bre... Dall'Apenino ove quant' acqua pende a Ponente è della Giurisditione di Santo Stefano, quanto a levante è nelterritorio di P.... Giurisditione di Compiano. (e più oltre)... s'arriva sopra un altro monte che si dice Montenegro, e dalla somità del detto Apennino..."
Dal chè si evince che non è campata in aria l'ipotesi che il percorso in Alpe Pennino della Tavola Peutingeriana possa esser stato ricalcato sul percorso che già gli antichi liguri del Pago Martius facevano per approvvigionarsi di stagno in Etruria
[cfr. M. Tosi in ArchivumBobiense], strada poi ripresa da Annibale, e confermata da Matteo Vinzoni nel 1755 come percorso della "Strada del sale" che proveniva dalla "Stapola" (ovvero dogana) di Massa verso Santo Stefano d'Aveto per dirigersi o a Ottone, o verso le podesterie che cingevano la Val d'Aveto e fors' anche alle Riviere.
Ciò, era riportato, sulla scorta di un'intuizione che ebbi, già il 26 ottobre 1999, grazie alle indicazioni che Angelo Terenzoni fornisce in Ceula, Ligure - Romana - Alto medievale (sec. VI a.C. - sec. XII d.C.), Editrice Liguria 1977, p. 81, ove cita Il tratto " Luni - Boron - in Alpe Pennino " disegna infatti una ben precisa direzione, mostrando la rappresentazione cartografica la via sul punto di superare un'alta catena di montagne, la leggenda " Veleiates ", che si estende nello spazio libero, dopo la linea oltrepassata dalla via stessa, indica poi lo stanziamento di quelle tribù avanti la delimitazione municipale romana, stanziamento che superava ampiamente i confini del più tardo Municipio di Veleia.
Non erano, forse, gli antichi Liguri della Val d'Aveto di stirpe Veleiate.

Intanto avevo ripreso a fare ricognizioni sul territorio alla ricerca di eventuali antichi insediamenti.
Con l'amico Giovanni Ferrero eravamo giunti alla conclusione (anche sulla scorta d'esperienze desunte da libri di storici che agirono tra il 1920 ed il 1940, specie Giuseppe Fontana per la zona Avetana) che alcuni poggi castellabili, sia in Aveto sia in Trebbia, vennero appositamente disposti lungo le anse dei fiumi al fine di sfruttare il naturale sbarramento su tre lati che queste zone offrono.

Sempre grazie a Gianni Ferrero fui introdotto nell'ambiente degli storici e degli 'storici locali'.
È bene precisare che gli 'storici locali' sono cosiddetti perché, non essendo 'dottori in storia', non vengono considerati degni di fregiarsi del titolo di storici.
Quasi che la storia cosiddetta locale sia un sottoprodotto della Storia!
Non è forse vero che gli accadimenti che si svolgono in ambito locale interagiscano con altri, magari avvenuti a centinaia di miglia, per dare origine a quella comprensione del 'tutto' che è la storia?
Gli 'storici locali' lavorano seriamente, pazientemente, onestamente e con passione: hanno tutti i titoli necessari per fare Storia!
La Storia, così come la Cultura, appartiene a tutti.

Durante le molte manifestazioni di cui Giovanni Ferrero era promotore (4), io incontrai storici e 'storici locali' di varia provenienza, arricchendo ed ampliando, così, le mie conoscenze.

Nel Luglio del 2000 realizzai, per l'amico Alberto Menna, due pannelli espositivi in cui era rappresentato il Miracolo d'Allegrezze (5): furono esposti in occasione della Festa della Trebbiatura che si tenne in quell'anno a La Villa, frazione del Comune di Santo Stefano d'Aveto.
Tale festa, che annualmente va sempre più ricevendo consenso tra le carovane di visitatori che fin qui giungono per gustare una giornata d'altri tempi, rappresenta fra le case del villaggio gesti d'usata memoria, proponendo, con un salto nel passato, gli usi ed i costumi dell'epopea contadina in Val d'Aveto.

Sempre nell'agosto del 2000, con gli amici della Sezione Cultura della Pro Loco di Rezzoaglio (Graziella Mazza, Lino Maggi, Maria Badaracco, Lino Losi, Manuela Brignole) realizzammo, con la supervisione di Graziano Fontana, la mostra delle Foto Antiche, per recuperare in parte il patrimonio fotografico disperso presso le varie famiglie della Valle, fonte importantissima per un futuro Archiviod'immagini della nostra cultura.

Il giorno 17 giugno 2000, pochi mesi prima, su indicazioni di Antoniuccia Sbertoli, impiegata al Comune a Santo Stefano d'Aveto, conosciuta frequentando l'archivio comunale alla ricerca di documenti antichi sulla Valle, trovai il Castello di Rezzoaglio, o meglio i suoi ruderi, e sulla piana sottostante i resti di un antico villaggio.
Il sito prossimamente sarà interessato da una campagna di studi da parte degli amici medievisti,storici dell'arte, archeologi e storici.
La scoperta ebbe seguito in virtù del fatto che, mentre io ero intento a scrivere il contributo Rezzoaglio, che doveva far parte del depliant Rezzoaglio. Hemingway e la Val d'Aveto, parlavo di "Castello" posto sulla rocca omonima, presso l'ansa dell'Aveto, senza averne minimamente verificato l'esistenza.
Non era corretto pubblicare una notizia sulla scorta di "sentito dire", specie quel genere di notizia.
Così quel giorno 17, verso le 13.00, chiesi se qualche strada portava alla collinetta oltre l'Aveto, ove s'immaginava fosse, scendendo verso il rio Molineggio.
Percorso forse più praticabile, ritenendo impensabile il guado dell'Aveto.
Mi fu risposto, dal cugino della Sbertoli, che forse c'era ancora un sentiero che portava alla "Megoia", ma che era " un bûscioà " (luogo invaso dalle serpi) e se era mia intenzione di andare a perdere la vita...
Lui del castello non n'aveva mai sentito parlare, così una vecchia del luogo d'Esola da entrambi interpellata.

Io mi avventurai, avevo la videocamera, una piccola macchina fotografica Kodak, dei fogli quadrettati, una matita, e una metrella da 5 metri.
Girovagai su e giù, per la collina puntuta, ferendomi coi rovi e coi pruni.
Credevo di non aver trovato nulla...
Scendendo sulla spianata sotto la collinetta anzidetta, m'imbattei in un muretto, alto poco più d'un metro, apparecchiato in conci di buona fattura, non sembrava una macera, v'erano tracce di malta come legante.
Vi girai intorno, era quella che poi chiamai negli schizzi approntati la torre.

Pazzo di gioia... Incominciai a fotografare e riprendere con la cinepresa, feci più giri intorno alla torre nel timore che, come spesso succede, certe riprese saltino.
Per via della troppa eccitazione, ci si dimentica di controllare se è accesa la spia del REC.
La data era sovra impressa sulla pellicola.

Bene!

Iniziai a fare gli schizzi della torre, poi visto che s'era fatto tardi, feci il percorso a ritroso ripromettendomi di ritornare a breve.
Il 24 giugno 2000, dopo aver percorso il solito sentiero, ed aver individuato chiaramente muri di sostegno che portavano al sito, mi trovavo, nuovamente, a filmare e a rilevare nei pressi della torre.
Osservando meglio, mi accorsi che c'erano altri muri semitondi.
Mi accingevo a filmarli...
Alcuni metri più in là, intravidi fra le fronde, in seguito ad una variazione di luminosità, altri muri.
Era il bastione semicircolare.
Il campanile di Rezzoaglio batteva sordi rintocchi, ma a me dello scorrer del tempo poco importava, ero io ed il mio castello, quasi un rapporto di simbiosi.
Lui aveva bisogno di me per emergere dalle nebbie della storia, io avevo bisogno di lui per dare un senso ad anni di duro lavoro in quelle plaghe, spesso deriso come un cacciatore di sogni.
Ora avevo una preda, e che preda!
Rimasi sul sito fino a quando riuscii a distinguere qualcosa in mezzo alla vegetazione.
Il campanile... Fedele sentinella, di là dall'Aveto, attraverso l'occhio della torre campanaria, ogni tanto guardava bonaria a quel pazzo che si arrovellava a salire e scendere dalla collinetta spianata in cerca di chissà ché... Aveva forse smarrito la ragione!
Il pazzo aveva individuato postazioni difensive più in basso lungo il fiume, parevano controllare la strada che dal guado presso un grosso masso in mezzo all'Aveto, con i ruderi di una pila, conduceva, ben articolata, con muretti a secco alla spianata della torre e del torrione semicircolare.

Colpendo il sottobosco col suo fido bastone, il pazzo, lì per lì sentì un suono sordo, come di un muro, ma avendo paura, essendo solo, a scendere verso il dirupo per controllare, abbandonò l'idea.
Tempo dopo, tornò sul sito con gli amici: Alberto Menna, Armando e Carlo Fugazzi, quest'ultimo calandosi giù ritrovòil muretto, o avanzo di muro perimetrale.
S'era fatto tardi.
Provò a discendere dove la collinetta sembrava degradare dolcemente verso l'Aveto.
Fu alla fine del percorso che, giunto sul piano, si avvide della presenza d'immensi muri perimetrali, o almeno così sembrava.
Le pietre parevano accatastate sfruttando l'imponenza del basamento, essendo massi di fiume sovrapposti senza apparente traccia di legante.
Costeggiò la spianata.
Incontrò altri immensi muri che parevano di difesa.
Un tratto di muratura misurava circa tre metri di spessore.
Nel boschetto a lato ancora ruderi disseminati dappertutto.
Incontrò una casa colonica, che negli schizzi avrebbe chiamato foresteria.
Indagò brevemente e provò a guadare il fiume, passando di masso in masso, con l'ausilio del bastone che fungeva da stabilizzatore.
Giunse sull'altra riva.
Risalì un sentiero e sbucò sul piazzale della chiesa di Rezzoaglio.
Incontrò il Sindaco.
Disse... Forse ho scoperto il Castello di Rezzoaglio... Gli fu risposto... Ah! Bene...
Tornò ancora sul sito per accertarsi di non aver preso abbagli, e vi portò gli amici d'Allegrezze il 23-08-2000.
Tornò il 1 Settembre 2000 con l'amico Paolo Giovagnoli, che possedeva una macchina fotografica digitale, in modo da realizzare alcune foto decenti, e intanto fece altre riprese con la videocamera e nuove indagini.
In virtù delle varie spedizioni sul sito, realizzò alcuni schizzi su carta quadrettata sul suo quaderno d'appunti, con viste di fianco o dall'alto dei luoghi, riproponendo abbastanza fedelmente, diremmo in scala, i ruderi dell'insediamento.

Intanto era apparso sul numero 5 della rivista 'Grigua' (settembre-ottobre 2000), alla pagina 21 della rubrica 'Grigua Cultura', un pezzo da me firmato: 'Il Castello di Rezzoaglio. L'esclusivo ritrovamento nella Val d'Aveto.

É bene ricordare che anche sugli insediamenti di Mileto e Castelletti, lo Sbarbaro aveva riprodotto, specie del primo, tentativi di ricostruzione grafica, in base ai pochi elementi visibili, non essendovi sul luogo strutture in alzato, che permettessero di stabilire con certezza ove fosse posta un'eventuale torre, o claustrum.
In specie una riproposizione dopo un'indagine sul campo effettuata verso la fine del settembre 2000.
Le immagini e gli schizzi del presunto Castello di Rezzoaglio, stampate su supporto cartaceo, se le portò al seguito per mostrarle agli amici Gianni Ferrero, Guido Ferretti e Mauro Casale durante la gita a Brescia, in occasione della mostra Il futuro dei Longobardi, organizzata dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri di Genova, alle cui lezioni da qualche tempo partecipava.
Verso il 16 di settembre dello stesso anno fu accompagnato dall'amica Graziella Mazza, alla "Casa dei Galli", casa forte, o caminata, come la chiama G. Fontana, nei pressi di Rezzoaglio, un tempo casa gentilizia, con funzioni di dogana e controllo i cui ruderi presentano ancora notevole interesse.

Su indicazione della stessa indagò sulla collinetta del Castelletto in località Pre grise, o Pre Grixie, non lungi da "Casa dei Galli", essendo l'una e l'altro a vista, ove ancor si rilevano muretti che tendono a formare sulla sommità un basamento per un eventuale posizionamento di una torre, o luogo d'avvistamento e controllo.
Dagli amici d'Allegrezze, Alberto Menna e fratelli Armando e Carlo Fugazzi, era stato accompagnato sul sito del Castelluzzo, presso Caselle, della cui esistenza venne a conoscenza anni prima grazie a Roberto Focacci, un'appassionato di cose antiche, la cui vivida intelligenza strideva con gli abiti spesso dimessi indossati dall'uomo.
Avrebbe imparato, in seguito, che, la conoscenza e la sapienza, spesso non vanno d'accordo con colletti troppo inamidati.
Sulla sommità del monte detto Castelluzzo vi sono i ruderi di una torre, forse a pianta quadrata, di notevole valenza architettonica, che è in vista del Castello di Santo Stefano d'Aveto e con la torre, detta del Castelà, presso Campomenoso, quest'ultima posta s'una collinetta nei pressi del rio Molini, come più tardi avrebbe verificato.
Dal Castelluzzo probabilmente si controllava anche buona parte del comprensorio di Rezzoaglio e di quello del Castellomà, altra zona d'interesse, verso Amborzasco, ciò lo s'indovina essendo attualmente il luogo invaso dalla vegetazione.
Per avere delle conferme con l'amico Guido Ferretti si era recato, alla fine dell'ottobre 2000, in Archivio di Stato a Parma.
Guido cercava certi "Banditi" Ferretti di Casoni di Fontanigorda, e analizzava filze del Criminale.
Sandro sperava di trovare documenti sul castello di Rezzoaglio e, ritenendolo antico, si era indirizzato sulle filze della Famiglia Malaspina, feudatari che in Aveto avevano agito per lungo tempo...
Per chiarezza d'esposizione e per dar merito a coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo sogno ritorniamo ora un attimo indietro.

Ai primi del 2000, incontrai a San Salvatore di Cogorno fra gli altri, Daniele Calcagno e Marina Cavana.
Ero lì con l'incarico di rappresentante per la cultura dei Comuni di Santo Stefano d'Aveto e Rezzoaglio, nel costituendo comitato dei Comuni dei Fieschi.
A Daniele feci omaggio del mio opuscolo Banditi di Val d'Aveto e loro rapporti con la Serenissima Repubblica Genovese.
Lo incontrai nuovamente in Galleria Mazzini, a Genova, in occasione della Pasqua 2000, e Daniele mi accennò che, forse, lo avrebbe pubblicato.
Verso novembre dello stesso anno andai alla Libreria di Via Garibaldi 12, dei Signori Bruno e Gian Maria Varese, nella speranza di incontrarlo e parlargli della scoperta del castello di Rezzoaglio.
Portai con me copia de U Calendaiu, ossia il calendario per l'anno 2001, edito nel novembre 2000 col contributo della Pro Loco di Rezzoaglio, ed impaginato dal sottoscritto, con l'ausilio di Graziella Mazza, e rilettura grafica di Paolo Giovagnoli.
Il calendario fu il tentativo di usare un mezzo semplice per far passare un messaggio difficile, ossia la salvaguardia del nostro patrimonio storico culturale, tramite foto d'epoca e racconti brevi permeati di fatti che si perdevano nella leggenda, corredato da ricette, filastrocche e proverbi della nostra terra.
Convinsi Daniele e Marina della bontà del ritrovamento tant'è che la settimana dopo con l'archeologo Fabrizio Benente, facemmo un'indagine sul campo.
Si decise da allora di affrontare un programma d'indagine organica sugli insediamenti medievali, e non, in Val d'Aveto, ma come si sa, non tutto è così facile...
Intanto il mio opuscolo sui banditi che distribuivo a conoscenti interessati alla cultura, stampandolo in proprio, pur suscitando interesse, compresa una recensione sul mensile: il Golfo, Monti e Valli, nell'aprile del 2000, non vedeva la luce.
Uscì, in versione ridotta, grazie all'amico Lino Maggi, sul periodico La Voce dell'Aveto, come inserto interno, nell'ottobre del 2000.
Fra novembre e dicembre 2000 fui sul territorio con l'amico G. Franco Badaracco, cittadino francese, abitante nel circondario di Parigi, ma originario di Recco, innamorato della Valle dell'Aveto, dalla quale pensava provenissero i suoi antenati.
Grazie a lui imparai molto sui romani, e sulla loro capacità di costruire e sfruttare strade, con pendenze elevate, sui colli francesi o spagnoli, su alcune tecniche di costruzione dei bizantini e su usi e consuetudini medievali, specie sugli insediamenti.   (... continua)

 

Cosa è la Storia? La mia attività: 2001 - 2003

 

Note

(1)
Massimo Brizzolara, La Val d'Aveto - frammenti di storia dal Medioevo al XVIII secolo, Premio "Yvon Palazzolo" 1998

(2)
Giuseppe Fontana, "Rezzoaglio e Val d'Aveto. Cenni storici ed episodi", Rapallo 1940

(3)
Osvaldo Garbarino, "Monaci, milites e coloni", Genova 2000

(4)
Fra le manifestazioni cito:
"Matteo Vinzoni Cartografo", mostra itinerante inaugurata nell'estate 1997 presso la sala capitolare del Convento Agostiniano di S. M. di Montebruno e transitata per i comuni di Bonassola, Deiva, Framura, Moneglia, ospitata il 1°maggio 1999 a Davagna;
"Pier Maria Canevari" mostra albergata il 1° maggio del 1999 al Santuario di N. S. della Vittoria presso la Scoffera:
"Sophie Blanchard", mostra svoltasi a Montebruno l'undici luglio 1999 (prima edizione luglio 1998) in contemporanea con quella su "La Zecca di Montebruno";
"Matteo Vinzoni. Un cartografo del '700 per il 2000", mostra che si svolse nel gennaio 2000 (nel comune di Busalla e poi nel comune di Casella) ed alla quale cui partecipai, grazie a Gianni, con due quadri espositivi riguardanti la Val d'Aveto;
"Santa Rosalia. Una Devozione venuta dal mare ", mostra tenutasi nel settembre del 2000 a Quiliano (Savona)

(5)
Miracolo d'Allegrezze: apparizione della Madonna ad una fanciulla di La Villa, frazione del Comune di Santo Stefano d'Aveto.



Pagina pubblicata il 10 settembre 2004, letta 10709 volte dal 23 gennaio 2006
Per esprimere un commento su questo articolo si prega di contattare la redazione via e-mail