Monella

di Sandro Sbarbaro

C'era una fatina bionda e lentigginosa, dagli occhi di cielo che, inventando giochi nuovi, passava le giornate fra gli gnomi del bosco.
Si chiamava Monella e, dal momento che ogni nome rispecchia in genere il carattere di chi lo porta, si poteva affermare che lei lo fosse di nome e di fatto.
Ben lo sapevano gli amici gnomi che se la trovavano fra i piedi a combinarne di cotte e di crude, con quel sorriso angelico, che tutto si faceva perdonare.
Il suo animo ludico era il prodotto di una vita spensierata, vissuta senza gli affanni, che sono propri delle fate adulte che, dovendo amministrarsi fra più "protetti", non hanno certo il tempo di giocare.
Era una golosona, e grazie al suo amico d'infanzia, gnomo "Pasticcio", passavano le sere al chiarore delle stelle inventando nuovi dolciumi.
Le creazioni debbono essere assaggiate, per valutarne la bontà, i due però esageravano un poco, tanto ché rimaneva il foglio della velina.
Monella, intanto, aveva raggiunto l'età che, alle fate,dischiude l'ingresso nel mondo della conoscenza e se, da un lato, era lieta di aver qualcuno di cui occuparsi, dall'altro rimpiangeva i giochi e gli scherzi in compagnia degli amici gnomi.
Fra le fate era costume che il nuovo "protetto" era colui che, un dato giorno, avesse attraversato il tratto di bosco ove la fata stava appostata.
Toccò a Monella che si librò su un albero, nelle vicinanze d'un ruscello che scendeva impettito, rischiarandosi la voce conto i massi lungo il cammino.
Si stava appisolando... visto che le ore scorrevano lente, portando a spasso i minuti e nulla accadeva.
Uno squittire di scoiattoli, che s'indicavano qualcuno o qualcosa, attirò la sua attenzione.
Veniva avanti adagio, tenendo per la briglia un cavallo nero, un palafreniere del re.
Alto, con i boccoli biondi ed un viso da fanciullo furbo, in cui ammiccavano occhi grigi da gatto.
Non era propriamente bello, ma aveva un fascino speciale, che aumentava se sorrideva.
Fata Monella rimase incantata e, da copione, prese a seguirlo nelle sue peripezie.
Ella però non poteva apparirgli, tal previlegio era riservato solo ad alcune, altrimenti avrebbe perso i suoi poteri di fata e si sarebbe trasformata in una comune mortale.
Lo seguiva ovunque. Gli spostamenti erano molti, dato che il re assisteva a svariati tornei e competizioni, e il palafreniere, al servigio del suo signore, assitiva estasiato, tifando per questo o quel campione.
Spesso, preso dal tifo, si spingeva , come un bambino eccitato, ai bordi del terreno ove avvenivano le tenzoni: ciò per poco non gli costò la vita. Una mazza impazzita, lanciata in velocità da uno dei cavalieri, stava per fracassargli la testa.
Monella deviò impercettibilmente la traiettoria, tanto da salvargli la vita. Monella, era la sua ombra, ma anche l'ombra, infine, è qualcosa d'umano visto che è l'immagine dell'immagine che noi rappresentiamo.
L'Ombra del palafreniere assumeva intanto comportamenti sempre più umani, dimenticando la fata.
Da un po' di tempo, il palafreniere non poteva più fare lo scemo con le cortigiane senza che gli capitasse qualcosa...
Un dì, per fare lo spaccone con una pulzella, si era esibito in alcuni passaggi d'alta scuola col suo cavallo e, mentre stava per prendere la rincorsa per saltare nuovamente in groppa al destriero, Monella gli afferrò una gamba, così si trovò sospeso nel vuoto e ,mancandogli l'appiglio, precipitò nella polvere, sotto gli occhi esterrefatti della dama.
Monella, doveva inventarsi qualcosa, perché malgrado ogni espediente tentato, c'era pur sempre il rischio che il suo palafreniere s'innamorasse di una mortale, che era pur sempre una donna in carne ed ossa.
Un dì, mente egli si trovava proprio presso il boschetto dove era avvenuto il loro primo incontro, Monella, infischiandosene delle regole, gli si mostrò in tutta la sua bellezza.
Egli rimase incantato, e accennò ad un inchino regale, poi la fece salire sul destriero e si avviarono a zonzo per il bosco.
La fanciulla si appoggiava al suo petto per non cadere... il palafreniere le sussurrava parole dolci...
Monella già da tempo innamorata del giovine, aveva bisogno di capire se n'era corrisposta, quella prima volta, in lei produsse il convincimento, che in breve divenne certezza...
Quel giorno la fanciulla aveva perso qualcosa, ma aveva conquistato la felictà.
Egli la amava e, spesso, veniva nel bosco, ove le aveva eretto una tenda. S'intrattenevano a parlare di sciocchezze, che improvvisamente parevano tremendamente importanti: perché di sciocchezze è fatto l'amore ed è ucciso da cose troppo importanti.
Fata Monella, che fata più non era, viveva le sue giornate nel bosco in costante apprensione, gelosa del suo uomo, si domandava cosa egli facesse quando era lontano.
Al suo ritorno la paura svaniva, salvo, poi, riprendere più forte quando la lasciava.
Nacquero i primi dissapori...
A volte, Il palafreniere montava furibondo a cavallo giurando che mai più sarebbe tornato...ma, dopo qualche giorno, tornava con la coda tra le gambe e Monella nel cuore.
Il loro rapporto ormai altalenava sospinto dal loro umore.
Un giorno il palafreniere, tornò solo dopo una settimana, e, interrogato da Monella, non metteva nel discolparsi nemmeno più l'ardore e la foga che avevano contraddistinto i loro primi litigi.
Fu l'inizio della fine.
Solo raramente il giovine concedeva momenti d'amore alla fanciulla, e, l'ultima volta, le regalò un fiore.
Ella lo conservò tenendolo in vita con amorevoli cure, parlandogli e carezzandolo, le pareva di parlare col suo unico amore.
La "Fata delle fate" vedendo Monella così disperata, corse in suo aiuto, e dando un senso ad una vita priva di senso, trasformò il fiore in un bimbo, che aveva la furbizia del padre e la bellezza della madre.
Monella, con "Fiore" ,tornò la fatina del bosco che inventava giochi per scoprirsi felice.

(1989/2004)



Pagina pubblicata il 1° settembre 2004, letta 8258 volte dal 23 gennaio 2006