Valdaveto.net > Usi, costumi, tradizioni, racconti e leggende > Raccolta di articoli apparsi su 'Il Giornalino della Val Vobbia' > Ricordi d'altri tempi - Quando una donna 'aspettava famiglia'
di Maria Ratto
articolo tratto da Il Giornalino della Val Vobbia (n° 30, inverno 2003 - 2004)
Un tempo le nascite erano molto numerose e, purtroppo, non essendovi cure
e mezzi contemporanei, il tasso di mortalità infantile era assai elevato.
La maggior parte delle famiglie erano composte da cinque - sei figli o anche
più.
Quando una donna aspettava famiglia, come si usava
dire visto che le parole "incinta" o "in stato interessante" erano ritenute
pressoché proibite, veniva considerata impura, capace cioè di danneggiare tutto
ciò che toccava.
Molte erano le superstizioni legate alle puerpere: non dovevano
assolutamente portare collane o nastri intorno al collo, non passare attraverso
i filari della vite, non tessere matasse, non attraversare il timone di un carro
appoggiato a terra, non fare visite ai defunti e fare in modo di non sentire il
canto della civetta, il quale poteva essere di malauspicio.
Dal ventre della madre si supponeva il sesso del figlio; se era molto
grosso si diceva che il futuro nascituro sarebbe stata una femmina, viceversa sarebbe stato maschio.
Durante i nove mesi di gestazione la mamma cercava di
evitare lavori troppo pesanti, specie nelle campagne, e la sera, durante le
veglie attorno al fuoco, ella preparava fasce, cuffiette, vestitini, scarpine di
lana, lenzuolini, federe, coperte: un vero e proprio corredo.
Al momento della nascita si metteva a scaldare un pentolone di acqua che sarebbe
servita per lavare il bambino, quasi come segno di purificazione. Si correva a
chiamare l'ostetrica, il cui ruolo veniva svolto sovente da qualche donna del
paese (a Noceto c'era la Sunta di Pein), la quale, nel caso in cui il
nascituro si trovasse in pericolo di vita, poteva amministrargli il battesimo ed
imporgli il nome.
Dopo il bagnetto il corpo del bambino veniva cosparso di
borotalco per evitare che la pelle, molto delicata, si
irritasse.
Fino all'età di tre mesi i neonati venivano avvolti
totalmente in lunghe fasce bianche, le fascioe, dal quarto mese fino
all'ottavo continuavano ad essere fasciati, ma lasciando loro libere le
braccia.
La culla era quasi sempre a dondolo e costruita dal
padre stesso: sopra di essa veniva collocato un velo per far sì che insetti
noiosi, troppa luce o troppa aria disturbasse il riposo del
piccolo.
Il battesimo avveniva al massimo dopo due giorni dalla
nascita: si diceva che si sarebbe tolta un'anima dal purgatorio. Il nome da
imporre lo si poteva scegliere nella cerchia della famiglia o sovente quello
dello stesso padrino o madrina. Dopo la funzione, all'uscita dalla chiesa si
lanciavano i confetti, come accadeva per i matrimoni.
La madre rimaneva a letto per diversi giorni: quando era in grado di alzarsi e camminare si recava dal parroco del paese, il quale provvedeva ad imporle una benedizione speciale.
In cambio, per compensare il servizio svolto dal sacerdote, vi era l'usanza di offrirgli sei uova.
Ninna nanna
Fa nannà puppon de pessa
Che a
moae a l'è andata a messa
A l'è andata a piggià o perdon
Fa nannà bello
puppon.
San Gaitan mandaeghe o senno
Ceh o figgieu o n'à de
bezeugno
San Gaitan o ghe-o mandià
E o figgieu o s'addormià
O
bambin coscì piccin
co-a so testa rissolin
A seu casa bella netta
Che
ghe stava Lisabetta.
Lisabetta a fiava
A Madonna a reclamava
San
Gioxeppe o fava o bancà
E o bambin o fa nannà!!
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Pagina pubblicata il 22 settembre 2005, letta 6185 volte dal 23 gennaio 2006
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